Non c’è che dire: è stato un avvio d’anno turbolento. Sul fronte internazionale il profit warning di Apple ha avuto l’effetto di un vero e proprio elettroshock per i mercati, fino a poche settimane fa viziati dalla pioggia di dividendi e di buybacks garantiti dai titoli della Mela. Ora si riparte, dopo aver bruciato più di 400 miliardi di dollari di capitalizzazione dai massimi di metà agosto. Il sacrificio, provocato dal calo della domanda dei consumatori cinesi per l’iPhone, è l’altra faccia della guerra commerciale tra Pechino e Washington esplosa con l’arresto della vicepresidente di Huawei su richiesta delle autorità Usa. Un conflitto in cui l’economia si confonde con lo spionaggio elettronico e la sfida per la leadership nell’intelligenza artificiale e il controllo dei dati di miliardi di persone, la materia prima più importante dell’economia digitale. Per fortuna, si tratta di una guerra a suon di chip e smartphone, per ora incruenta.



Anzi, dopo l’allarme è già suonata l’ora delle trattative: Stati Uniti e Cina si preparano a un altro giro di consultazioni sui dazi in agenda per la prossima settimana (7 e 8 gennaio). Donald Trump ha manifestato ottimismo sulla questione: “I mercati azionari hanno avuto un intoppo a dicembre, ma torneranno a salire una volta che gli accordi commerciali saranno risolti”, ha spiegato.  Da Pechino, fonte Bloomberg, arriva un’indiscrezione, merce rara, dalla Città Proibita: Xi Jinping ha dovuto ammettere di aver sottovalutato la determinazione del presidente Usa sulla questione dei dazi.



Intanto il Dragone ha già preso provvedimenti per correggere la caduta dell’economia: il taglio dell’1% (diviso in due tranche, 0,5% dal 15 gennaio e 0,5% dal 25 gennaio) del tasso di riserva obbligatoria che le banche devono detenere presso la Banca centrale. In altri termini, maggiore liquidità nel sistema. Nel 2018 la Banca centrale aveva già tagliato quattro volte il tasso di riserva obbligatoria. Infine, da non trascurare la crescita del settore dei servizi cinese che in parte controbilancia il rallentamento del settore manifatturiero. Pechino conferma così la volontà di modificare il proprio modello di sviluppo, con effetti positivi sull’inquinamento.



Tutto bene? Dal punto di vista di Donald Trump manca un tassello importante: la cessazione dell’aumento dei tassi, così come annunciato dalla Federal Reserve. L’effetto Apple potrebbe rivelarsi un prezioso alleato per il Presidente, che teme gli effetti politici del calo delle Borse al contrario delle banche centrali più preoccupate dall’eventuale esplosione dell’inflazione. Ma gli ultimi dati, sotto questo profilo, son tranquillizzanti. Non è escluso, perciò, che Jerome Powell faccia un regalo a Trump rinviando a data da destinarsi il primo aumento del 2019 (forse l’unico).

Insomma, la turbolenza di inizio anno potrebbe lasciare spazio a una fase meno agitata, anche se la corsa agli acquisti sui beni rifugio (oro, bond giapponesi e Bund tedeschi) conferma che la paura è tanta, la speranza di guadagni finanziari bassa. Nessuno si illude di fare soldi in Borsa nel 2019. Dal punto di vista psicologico potrebbe essere un buon auspicio.

Anche la turbolenza Carige è alle spalle. Con l’ennesima piroetta, Vittorio Malacalza ha fatto sapere che, di fronte a un piano industriale convincente, aprirà i cordoni della borsa partecipando all’operazione. Insomma, è stata una tempesta in un bicchier d’acqua. Grazie all’intervento, il primo nella storia, della supervisione bancaria unica europea che ha dimostrato l’efficacia di un potere forte, autorevole, sganciato dagli interessi di parte. È un’ottima lezione in arrivo da Bruxelles, spesso (e ingiustamente) sul banco degli imputati.