Resta forte l’incertezza sull’andamento dell’economia globale in questo inizio 2019, anche per via dei timori di un rallentamento della Cina, uno dei mercati di sbocco più importanti per diversi paesi, soprattutto per l’Ue. “Contrariamente a quanto si può pensare, gli economisti non sanno fare delle previsioni totalmente azzeccate. Rispetto alla situazione attuale, in cui prevale un clima un po’ plumbeo, io vedo però diversi ‘punti rosa’ in questo 2019”, ci dice Gustavo Piga, professore di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma.



Cosa la fa essere ottimista?

Mi sembra che non ci siano scenari macro terrorizzanti, definitivi, da default come ci sono stati in passato. Non sarà l’anno di un’uscita dall’euro. Il grande Paese maggiormente in crisi mi pare sia l’Argentina, a causa di una stupida austerità provocata da uno stupido Fmi, ma è una situazione di minor sofferenza rispetto a quella che ha poi portato al default del 2001 che ha toccato anche i risparmiatori italiani. Non credo quindi che ci dovremo aspettare eventi estremi. Certamente vedo un’incertezza, che definirei negoziale, dovuta a due grandi momenti di tavolo di confronto per ricostruire una governance globale e che lasciano in questo momento i mercati con una certa suspense.



A cosa si riferisce?

Alle trattative sulla Brexit e al negoziato tra Usa e Cina sul commercio internazionale. Rispetto a quest’ultimo, ritengo che possa essere un importante momento negoziale per l’Occidente, soprattutto per gli Stati Uniti, che potrebbe redistribuire risorse anche a favore del mondo occidentale stesso. Non penso che dobbiamo aspettarci risultati catastrofici. Per quanto riguarda la Brexit, immagino che verrà risolta in un modo o nell’altro e i mercati troveranno pace.

A proposito di Cina, proprio in questi giorni si parla di un possibile rallentamento della sua economia…

Poiché ha un impatto sull’export di molti paesi, c’è una certa tensione. Una risposta al problema potrebbe derivare da una deliberazione interna cinese, con la scelta di spostare più verso i consumi e meno sugli investimenti la componente principale della domanda interna. Ma su questo il partito comunista si muove coi piedi di piombo e bisognerebbe comunque dar vita  a un processo graduale e che richiede tempo. Il che fa pensare che dovrebbe essere l’Occidente a trovare forza al suo interno, tramite cioè la domanda interna, così da essere meno esposto ai problemi degli altri.

Ci sono effettivamente possibilità per raggiungere questo risultato?

Il crollo del prezzo del petrolio non solo porta a minori costi energetici che aiutano le imprese, ma tiene sotto controllo il pericolo inflattivo. Le politiche monetarie sia statunitensi che europee si possono rilassare e quindi possiamo pensare che l’aumento dei tassi procederà più gradualmente. Lo scenario economico americano è comunque espansivo, forse quindi il grande malato che non ha ancora trovato il modo per curare le proprie fragilità è l’Europa. Deve ancora trovare un ruolo per se stessa, mentre gli altri sanno che ruolo devono giocare.

L’Europa può usare questo 2019 per rafforzarsi?

Sicuramente resterà bloccata fino alle elezioni, il cui risultato potrà lasciare tutto com’è o ridisegnare completamente la mappa della visione sovranista o globalista di uno degli attori globali più importanti. Non è irrilevante quel che succederà in Europa per i destini del resto del mondo. I sovranismi si supportano a vicenda, quindi sarà importante il risultato del voto di maggio.

Secondo lei, come andranno le elezioni europee?

Non so cosa succederà, non bisogna farsi influenzare dalle dinamiche italiane. Mi aspetto sicuramente una ricomposizione che porti a una maggior attenzione ai territori nazionali e mi aspetto meno austerità, senza che questo voglia dire essere “anti-europei”. Per esempio, in Germania una vittoria dei Verdi, che sono pro-Europa, può portare nel Parlamento europeo un afflato meno austero. Credo che sarà molto complesso trovare una maggioranza, ma questo potrebbe essere anche un bene e ritengo sia importante che ci si possa prendere una sorta di pausa di riflessione per cercare di sistemare le situazioni interne ai paesi membri per poi tornare a riparlare del progetto europeo. Bisogna tornare a una visione dal basso.

Dal punto di vista delle politiche economiche ci potrebbe essere un cambiamento?

Se ritroviamo un po’ di uniformità di vedute, verso una maggior crescita via domanda interna, con l’abolizione del Fiscal compact e un inizio di ripensamento su qual è la governance ottimale della politica fiscale, i mercati, nel secondo semestre dell’anno, possono trarne una visione molto positiva. Potenzialmente vedo un’opportunità non nel trionfo dei sovranisti, ma nella ricomposizione più articolata del Parlamento europeo, quasi più debole perché incapace di avere una maggioranza chiarissima, che lo obblighi a trovare al suo interno dei compromessi su come procedere. Se il Parlamento europeo si “indebolisce”, perché diventa meno dominante una certa area, in un certo senso l’Europa si rafforza. E se l’Europa ritrova una capacità di crescere al suo interno ne guadagna tutto il mondo.

Non teme quindi che ci possa essere una sorta di scontro tra i partiti “tradizionali” e quelli “sovranisti”?

Abbiamo accettato ciecamente negli ultimi vent’anni che la globalizzazione fosse un bene e credo sia positivo che abbiano spazio tutte le critiche che vengono mosse alla globalizzazione, specialmente dalle persone che soffrono. Che si chiami sovranismo o localismo, è importante che questa parte sia rappresentata così che si possa avere un dibattito più conscio della posta in gioco. Perché tramite il dialogo tra le diversità si può finalmente cominciare a parlare di Europa tenendo conto di tutti, dei piccoli che contano quanto i grandi.

E come vede la situazione dell’Italia?

Questi primi mesi fino alle europee gli italiani li passeranno tranquilli, nel senso che non saranno sotto una cappa di procedura o di protesta politica. Malgrado la manovra non stimoli particolarmente la crescita, è anche vero che non alimenta i disordini e l’insoddisfazione: i gilet gialli ce li possiamo scordare. Il contesto italiano non sarà di grande ripresa, probabilmente i numeri che l’Istat ci fornirà non saranno molto confortanti, però, come dice l’Istat stessa, non si vive di sola crescita di Pil, ma c’è anche una questione di distribuzione, sulla quale con la manovra il Governo ha dato un segnale non indifferente, pur con mezzi che ritengo sbagliati, di attenzione ai più deboli. Fino ad aprile vedo uno scenario piuttosto piatto per l’Italia, comunque con tantissime polemiche tra partiti.

(Lorenzo Torrisi)