Si avvicina l’approvazione del decreto su riforma delle pensioni e reddito di cittadinanza, annunciata per questa settimana. Sembra che la misura simbolo del Movimento 5 Stelle sarà diversa da com’era stata inizialmente pensata. «Il fatto che la misura sia diventata temporanea, anche se rinnovabile, e che ci sia una dote contributiva, rappresenta senz’altro un importante miglioramento, anche se rimangono alcune perplessità», spiega Leonardo Becchetti, professore di Economia politica all’Università Roma Tor Vergata.
Cosa la convince meno della misura?
In particolare il fatto che si voglia usare una sola soglia per tutto il Paese, quando quelle di povertà sono diverse tra Nord, Centro e Sud. Come segnalato da Perotti, poi, c’è il rischio che i circa 7 miliardi stanziati non bastino e nel provvedimento si potrebbe anche pensare a una clausola che andrebbe a ridurre l’ammontare della prestazione in caso di scarsità di risorse. È chiaro però che un clausola del genere sarebbe un boomerang per il Governo. La questione della spesa totale è quindi molto delicata e conviene pensarci molto bene. E poi i rischi di abuso ci sono sempre.
Quali la preoccupano di più?
Da una parte c’è il rischio che il reddito di cittadinanza percepito venga cumulato con reddito sommerso, quindi bisognerà predisporre controlli adeguati e sanzioni severe. Dall’altra si potrebbe anche disincentivare il lavoro. Ho sentito di un imprenditore del Sud che ha detto di aver offerto un lavoro da 1.000 euro al mese a due ragazzi, che però hanno preferito attendere il reddito di cittadinanza. Inizialmente comunque ci sarà un aumento della disoccupazione, perché alcuni scoraggiati potrebbero mettersi in cerca di occupazione proprio per godere del reddito di cittadinanza.
Da quel che ha detto prima, lei avrebbe visto meglio delle soglie differenziate a livello territoriale per il reddito di cittadinanza. Perché?
Perché non considerare le differenze tra il costo della vita tra le diverse aree del Paese, e quindi non considerare che la soglia di povertà, come calcolata dall’Istat, è di 810 euro a Milano e di 560 in un piccolo centro siciliano, porta a sottostimare la povertà al Nord e a sovrastimarla invece al Sud.
Trova giusta l’idea di separare la prestazione tra assistenza al reddito e contributo per le spese relative all’affitto o al mutuo sulla casa?
Sì, perché la casa è un bene primario essenziale e quindi bisogna tenerne conto. Come pure si tiene giustamente conto di tutti gli aspetti legati alla ricchezza del nucleo familiare, in modo che per la prova dei mezzi non si guardi solo al reddito, ma a tutti questi elementi. Anche perché il reddito è più facile da nascondere.
Rispetto al problema delle risorse che potrebbero non bastare, c’è chi ritiene che alla fine il Governo abbia modificato il reddito di cittadinanza, rispetto alla versione iniziale, proprio per far sì che costi di meno…
Io noto che comunque c’è stato un dibattito. Che tra l’altro, come è stato fatto notare, non si è svolto in Parlamento, ma ha coinvolto l’opinione pubblica, i media. E alla fine questo dibattito ha prodotto dei cambiamenti, come per esempio il fatto che inizialmente si parlava solamente di Centri per l’impiego e ora di concorrenza tra soggetti pubblici e privati.
Il dibattito si dice sia stato anche all’interno dello stesso Governo.
La componente leghista ha spinto soprattutto sul fronte della dote contributiva, dell’incentivo per le aziende ad assumere, che può portare loro fino a 18 mensilità della prestazione, da suddividere eventualmente con il Centro per l’impiego o l’Agenzia per il lavoro che ha contribuito a far incontrare domanda e offerta di lavoro.
I cambiamenti apportati consentono comunque di realizzare l’obiettivo principale del reddito di cittadinanza, cioè contrastare la povertà?
Chiaramente stiamo dicendo che il contrasto alla povertà c’è, l’importante è limitare gli effetti collaterali dannosi. Che è il motivo per cui negli altri paesi europei si cerca di ridurre l’ammontare della misura e di mettere dei chiari paletti sulla sua durata temporale.
Resta però valida l’obiezione sul fatto che il reddito di cittadinanza non aiuta la crescita dell’economia?
L’incentivo alla crescita è rappresentato principalmente dal credito d’imposta su Industria 4.0 che il Governo ha in parte mantenuto e in parte ammorbidito. L’incentivo alla crescita si ha aiutando le aziende a investire nelle nuove tecnologie. È poi importante varare riforme strutturali riguardanti nodi critici del Paese, come giustizia e burocrazia, oltre a una riduzione della pressione fiscale. Queste riforme stimolerebbero la crescita.
Secondo lei l’economia del Paese rischia di andare in recessione in questo 2019?
Sì. La situazione internazionale non è facile, abbiamo già visto indicatori di rallentamento dell’economia cinese e anche gli Stati Uniti marciano meno spediti di prima. Pesa sicuramente la riduzione delle politiche espansive delle banche centrali, oltre che il clima di guerra commerciale. Ci sono sicuramente dei fattori negativi a livello globale che stanno riducendo la crescita dell’Eurozona. E poiché l’Italia segue le dinamiche dell’Eurozona, ma con un punto in meno rispetto alla media, rischiamo di andare in recessione.
(Lorenzo Torrisi)