L’economia non spiega tutto, ma aiuta a capire. Specie nei momenti di massima confusione quale vive l’Italia, vittima di una sorprendente forma di schizofrenia, quella che spinge lo stratega della comunicazione dei Cinque Stelle, oggi prestato a palazzo Chigi, Rocco Casalino, a suggerire comunicazioni surreali, dal “boom economico in arrivo” cantato da Luigi Di Maio, al “ci attende un anno bellissimo” del premier Giuseppe Conte. L’opposto, insomma, di quel che suggerisce la cronaca: dopo le previsioni sul rallentamento della crescita economica e l’ennesimo allarme sullo stato dell’economia italiana da parte dell’Ue, è toccato venerdì alla produzione industriale in calo del 5,5%, mai così in basso dal 2012.
Non occorre una sfera di cristallo per capire che la promessa di un rapido riscatto grazie a investimenti che non si vedono (mentre fioriscono gli stop) e consumi che dovrebbero ripartire grazie al reddito di cittadinanza rischia di essere delusa, quantomeno nei tempi in cui potrebbero vedersi gli ipotetici benefici. Al contrario, la legge delle cifre suggerisce un oroscopo ben diverso.
Giovedì da Bruxelles non sono arrivate indicazioni ufficiali sul debito italiano, ma con una crescita economica così debole è scontato che prima o poi arrivi una richiesta di aggiustamento. Nella bozza del Country Report 2019 inviata nei giorni scorsi dai servizi della Commissione al ministero dell’Economia, Bruxelles avverte che con un debito così alto, “c’è il rischio di ricadute sul sistema bancario, sul finanziamento alle imprese e alle famiglie e, considerate le dimensioni dell’economia italiana, sull’intera area euro”.
La previsione del Governo di un rapporto debito/Pil in calo di un punto percentuale al 130,7% quest’anno, si legge, “appare irrealistica”, considerato che si basa “sull’assunto di introiti da privatizzazioni pari all’1% del Pil e che tra il 2016 e il 2018 le vendite di Stato hanno prodotto entrate quasi nulle”, a dispetto del target di 0,5% l’anno. Insomma, “considerati i rischi al ribasso per le proiezioni macroeconomiche e di deficit del Governo, è molto probabile che il debito aumenti oltre il 132% quest’anno”. E anche la previsione del 129,2% per il 2020 è molto a rischio, dal momento che presuppone l’attivazione delle clausole di salvaguardia sull’Iva per l’1,2% del Pil e qualche decimale dalle privatizzazioni che non sono certo nelle corde del ministro Toninelli, che vuole pubblicizzare anche l’autostrada del Brennero, già pubblica all’88%.
Ovvero, non chiediamoci se ci sarà o meno una manovra correttiva, ma quando la si farà. Risposta scontata: dopo le elezioni. Restano da capire le modalità, ma è difficile che si possa evitare il rischio di una qualche forma di patrimoniale per correggere la rotta. Assai più difficile immaginare cosa escogiterà Casalino per cantar vittoria anche in quell’occasione.
Nell’attesa ripassiamo un po’ di storia. Mica quella del 1940, quando il regime riuscì a farsi malmenare dall’esercito francese in rotta contro l’avanzata della Wehrmacht. No, ripensiamo a Francesco Crispi, populista ante litteram che volle sfidare Parigi per rivendicare i diritti della “grande proletaria” e ci trascinò nel 1885 alla guerra doganale contro la Francia che fece precipitare il Paese nella depressione del 1887-90. Per carità, non siamo a questo punto, ma anche stavolta le scaramucce con il nostro principale partner, peraltro eccellente cliente del made in Italy con un saldo a nostro favore di 10 miliardi della bilancia commerciale e detentore di investimenti per 300 miliardi nella Penisola, non promette nulla di buono.
Nel frattempo, per inciso, a dicembre il surplus commerciale tedesco è aumentato a sorpresa a 19,4 miliardi. Continua così, anche in tempi di crisi dell’auto, lo squilibrio all’interno dell’Ue. Come scrive Alessandro Fugnoli “nel momento in cui i mercati esteri si chiudono o diventano comunque meno profittevoli sarebbe utile avere a disposizione un mercato interno (l’Unione europea) prospero e ricettivo. È la stessa Germania, tuttavia, ad avere imposto in questi anni a tutto il continente un modello di deflazione salariale e di compressione della domanda interna. Ed è sempre la Germania a tenere di fatto bloccata la politica fiscale dell’eurozona, che deve essere sempre restrittiva e mai espansiva”. Ecco il vero nodo strutturale che, tra l’altro, è ben presente nelle riflessioni di Paolo Savona. Peccato che in sede Ue non se ne sia quasi parlato. Ma non era facile visto il contorno della compagnia di giro giallo-verde.