Nelle ultime settimane si è assistito a un fenomeno abbastanza strano: una Borsa italiana in robusta crescita (il +7,7% del Ftse Mib a gennaio non è certo un record, ma è comunque un valore di gran lunga superiore alla media mobile a 12 mesi, ferma al -0,2%) in concomitanza con un bombardamento di dati macro deludenti e previsioni in calo per l’economia del Paese, ultimi in ordine di tempo le stime di Upb (crescita 2019 non oltre lo 0,4%), Fmi (il Pil potrebbe arrivare fino allo 0,6%, lo stesso numero ipotizzato da Bankitalia) e Commissione Ue (drastico taglio delle stime, al +0,2% dal +1,2% ipotizzato lo scorso novembre, un valore che tiene conto anche degli effetti della manovra scritta a dicembre, che dovrebbero essere nell’ordine di uno 0,4%). Con tali prospettive sulle spalle, Piazza Affari dovrebbe arrancare… “E invece – sottolinea Alessandro Magagnoli, analista tecnico e cofondatore di Financial Trend Analysis (Ftaonline) – mantiene un tasso di crescita abbastanza robusto, tanto da aver già recuperato dai minimi di dicembre più della metà di quanto lasciato sul terreno con il ribasso dal picco di fine settembre”.
Quale può essere la ragione?
Difficile pensare che i mercati credano alle parole del Governo, che assicura che non servirà una manovra aggiuntiva. Possibile invece, dato il rapido deteriorarsi della congiuntura, che si stia scommettendo sul fatto che si vada verso una stagione di investimenti pubblici, di sblocco dei cantieri già esistenti e dell’apertura di nuovi.
Ma una crisi di fiducia ancora non si vede, visto che il bond trentennale, appena piazzato per circa 8 miliardi con rendimento al 3,91%, ha registrato richieste per oltre 40 miliardi…
Un po’ di tensione sui tassi c’è. Lo spread Btp-Bund è risalito oltre i 280 punti base, ma l’analisi dell’open interest per i contratti marzo e giugno 2019 sul mercato del Btp future decennale mostra che a pesare sulle quotazioni è più la debolezza della domanda che la pressione in vendita.
Per adesso non c’è una fuga alimentata dal deterioramento del quadro macro?
L’automatismo crescita dello spread = andamento al ribasso della Borsa sembra essersi, se non interrotto, almeno fortemente allentato, difficile però dire se ci sia una soglia oltre la quale il legame tra i due mercati torni a essere più stretto. Probabilmente risalite dello spread fino alla metà circa del ribasso visto dai massimi dello scorso ottobre, cioè un avvicinamento ai 300 punti al massimo, potrebbe anche essere ignorato dalla Borsa. Il superamento di quei livelli rischierebbe invece di far puntare nuovamente i riflettori sul nostro debito, con tutte le conseguenze nefaste già viste nell’ultimo scorcio del 2018, in particolare sul comparto bancario.
Potrebbe proseguire il rialzo del Ftse Mib? E fino a quanto?
Difficile dare una risposta, anche perché il nostro mercato non è un’isola, più o meno felice, ma viene pesantemente condizionato dai trend internazionali.
Per esempio la Borsa Usa?
Per ora Wall Street viaggia decisa al rialzo, esercitando un effetto calmieratore sull’attitudine degli investitori, abbastanza propensi al rischio, ma la grande paura di dicembre non è ancora passata, e fino a che gli indici non andranno a registrare nuovi massimi rispetto a quelli del 2018 il nervosismo, magari solo latente, resterà alto, con gli operatori pronti a scappare a gambe levate a seguito di notizie negative, compresa una “hard Brexit”, ipotesi che spaventa gli Usa più di quanto si pensi. Ma a questo punto è opportuna una spiegazione, che a chi non segue abitualmente i grafici potrà sembrare noiosa, ma che è necessaria per evitare il crearsi di false illusioni.
Quale?
Dopo una tendenza prolungata, come ad esempio il rialzo pluriennale degli indici Usa, è normale che si sviluppi quella che viene definita una correzione, ovvero un movimento in direzione contraria del trend precedente. Questa correzione di norma è costituita da tre segmenti, due che si sviluppano percorrendo a ritroso il movimento precedente, e uno intermedio che, muovendosi nella stessa direzione della tendenza primaria, può essere spesso scambiato come la sua ripartenza. Non solo l’andamento dell’S&P 500 negli ultimi mesi, dai record del 21 settembre 2018 a 2.940,91 punti, si adatta a questo tipo di struttura, ma lo stesso ragionamento si può applicare anche al grafico del Btp future.
In che senso?
Il violento ribasso subìto dalle quotazioni a maggio, da 133,33 a 114,61 circa, successivo al prolungato rialzo dai minimi del 2011, è stato seguito da una reazione che ha visto i prezzi salire a fine gennaio fino a testare a 129,80 circa il 78,6% di ritracciamento, importante riferimento ricavato dalla successione di Fibonacci, prima di abbozzare una nuova discesa. Difficile dire se il rimbalzo degli ultimi mesi è solo una parte intermedia di una fase correttiva più complessa, alla quale manca ancora tutto un elemento ribassista, che in teoria potrebbe anche tornare al di sotto dei minimi di maggio 2018, oppure se siamo in presenza di una vera e propria ripresa dell’uptrend, destinato a mettere sotto pressione i massimi di maggio e anche a superarli.
A condizionare il mercato saranno, quindi, più elementi politici che tecnici?
Per esempio, la capacità del Governo italiano nel convincere i mercati di essere veramente in grado di interrompere la spirale della recessione. Sarà quindi l’andamento a far capire quali sono le intenzioni nei riguardi del Btp: il superamento dei 300 punti base allontanerebbe la possibilità di ritorno sui massimi dello scorso anno; viceversa, discese nuovamente sotto i 250 punti segnalerebbero il ritorno di un clima di moderata fiducia verso l’Italia.
E da Piazza Affari cosa dobbiamo aspettarci?
Graficamente anche il Ftse Mib qualche primo segnale di ripresa credibile lo ha inviato. Il superamento della trend line ribassista che parte dai massimi di maggio 2018 e della media mobile a 100 giorni (praticamente coincidente con la linea) viste a metà gennaio sono incoraggianti, ma i massimi dello scorso anno sono ancora molto lontani, per raggiungerli le quotazioni dovrebbero salire dai prezzi attuali del 23% circa, una strada lunga che potrebbe essere irta di ostacoli, come ad esempio la media mobile a 200 giorni, a 20.750 circa, o il 50% di ritracciamento del ribasso dal top di maggio, a 21.230 circa.
Si può sperare in un’ulteriore crescita delle quotazioni?
Si può. Del resto le banche italiane – che fanno da volàno per tutto il listino, dato il loro elevato peso sul totale della Borsa – sono indubbiamente sottovalutate, ma la speranza non deve offuscare la ragionevolezza: in una situazione come l’attuale chi è in cerca di affari può sicuramente iniziare a comprare, ma l’adozione di stop loss rigorosi è d’obbligo. In generale, possiamo dire che il riferimento alla media mobile esponenziale a 5 o al massimo a 10 sedute come “trailing stop” per i titoli che si vanno eventualmente ad acquistare è già un “paracadute” in grado di mettere al riparo da sgradite sorprese.
Ma come destreggiarsi tra i tanti titoli bancari?
La maggioranza dei titoli è sottovalutata in termini fondamentali, e in alcuni casi, come per Unicredit e Ubi Banca, anche in modo significativo, per più del 50%. Difficile dire, tuttavia, se il peggio sia alle spalle: il ritorno dell’Italia in recessione tecnica e le prospettive di bassa crescita dell’economia per il 2019 non sono certo il terreno ideale per far germogliare una fase di ripresa del comparto. Ma i mercati, si sa, anticipano gli eventi, e qualcuno potrebbe iniziare a ritenere le quotazioni raggiunte un affare.
(Marco Biscella)