Sta per arrivare in Parlamento la legge che conferisce alle Regioni che lo hanno richiesto – Lombardia e Veneto con la forza di un referendum e l’Emilia Romagna con un atto amministrativo – un’autonomia gestionale che sostituisce quella della dello Stato in alcune materie e che è previsto venga finanziata trattenendo tasse in loco. È il momento, quindi, di una valutazione economica.
Prima di tutto va respinta la critica che le Regioni del “ricco” Nord toglieranno soldi al “povero” Sud perché infondata: il prelievo fiscale trattenuto localmente sarà equivalente al trasferimento che lo Stato fa alle Regioni e non sottrarrà denaro alle altre. Infatti, tale autonomia solo gestionale, selettiva e asimmetrica, cioè non uguale per le Regioni, è molto lontana dal federalismo fiscale. Questo implicherebbe tre livelli di tassazione: Stato, Regione e Comuni dove ciascun ente finanzierebbe le proprie spese con le tasse che raccoglie, eventualmente aiutato dal livello istituzionale superiore secondo una logica di sussidiarietà. Un tale modello creerebbe problemi alle Regioni meridionali dove c’è poco mercato e tanto disordine. Ma non è questo il tipo di autonomia in discussione. Infatti, non si capisce perché vi sia un’opposizione meridionalista.
Ma dov’è, allora, il vantaggio di tale autonomia se non c’è quella impositiva? Ciò non è immediatamente evidente perché il vantaggio c’è, notevole, ma è indiretto. Nel ciclo fiscale dal territorio allo Stato centrale e poi da questo al territorio stesso c’è un notevole spreco, riducibile se una parte del ciclo stesso resta in loco e viene gestito da enti efficienti. Ed è un guadagno. Un altro riguarda l’allocazione di risorse in modi più adeguati alla specificità delle situazioni locali, ed è un secondo guadagno. Un terzo riguarda la qualificazione delle amministrazioni locali: più responsabilità gestionale implica più competenza. Infine, se le Regioni del Nord trovano più modi per favorire il loro sviluppo, tutto il sistema italiano ne avrà beneficio.
Nelle visioni moralistiche/populiste prevale il criterio dissipativo di aiutare prima i deboli, pensando che l’assistenzialismo sia un investimento produttivo, per esempio il reddito di cittadinanza. In quelle realistiche vige il criterio di rafforzare prima i forti affinché possano trainare la trasformazione in forti stessi dei più deboli invece che essere frenati da questi: la solidarietà deve essere efficiente, come teorizzato da Don Sturzo.