Complice l’intenzione dichiarata di Cdp di aumentare la propria partecipazione in Telecom Italia, la questione “rete” è tornata in primo piano. Il tema in realtà non è nuovo perché i tentativi di arrivare a una rete unica sono iniziati qualche anno fa, sotto il Governo precedente, con la costituzione di Open fiber e la decisione di creare una società “pubblica” che investisse e posasse banda larga in diretta concorrenza con l’ex monopolista pubblico. Il minimo che si possa dire su questa vicenda è che l’opzione di spin-off della rete e le relative discussioni ci accompagnano da quasi 20 anni, sotto governi di ogni ordine e grado, senza che la situazione sia mai cambiata. Il fatto che Vivendi sia diventata il maggiore azionista di Telecom Italia ha fatto imprimere un salto di qualità alla discussione.



L’ipotesi di una rete unica ha molto senso e non serve credere nel socialismo reale per pensarlo; gli esperimenti in questo senso non mancano e si sono visti in Paesi che non hanno nulla di socialista. Esattamente come non ha senso che ogni singolo produttore di gas si faccia le sue tubature per farle correre parallele “n” volte, così non ha senso che di fronte a investimenti “pesanti”, capillari e strategici ci si faccia concorrenza in un settore, oltretutto, che da due decenni è alle prese con un cronico abbassamento delle tariffe. Il rischio è che gli investimenti non si facciano o si facciano troppo lentamente.



Non ci sono incentivi esagerati, per un operatore privato, a spendere centinaia di milioni di euro o miliardi per collegare anche zone del Paese non particolarmente abitate o ricche in un settore dove la concorrenza è spietata. La questione si pone con maggiore forza in una fase in cui il settore è “costretto” a investimenti enormi per adeguare la rete a standard che renderanno possibile, per esempio, la guida autonoma. Dal punto di vista dello Stato c’è tutto l’interesse a che la rete si sviluppi, che sia capillare e che questo avvenga in tempi rapidi per mantenersi competitivi. Se certi meccanismi di remunerazione si sono usati per settori dove l’avanzamento tecnologico è decisamente meno visibile non si capisce perché non si dovrebbero introdurre in settori dove invece l’avanzamento tecnologico serve davvero.



C’è una naturale e inevitabile ritrosia dell’operatore privato a lanciarsi in un piano di investimento importante e da fare in tempi rapidi e c’è un naturale e inevitabile interesse “pubblico” a farlo. È lo stesso dilemma che si pone, per esempio, quando si deve costruire una nuova autostrada o un nuovo aeroporto.

L’operatore privato messo di fronte alla concorrenza “statale” non ha molte scelte se non quella di adottare un approccio ostile che però non è particolarmente lungimirante. Questo operatore privato comprende le ragioni del pubblico e comprende, soprattutto, che senza un ammodernamento veloce e importante della rete tutto il suo “avviamento” è a rischio di diventare rapidamente obsoleto o di venire aggredito da operatori meno concilianti. Nella sostanza o si lancia con lo stesso approccio dello Stato in un piano di investimento consistente e veloce, incompatibile con i rischi del mercato e con la leva finanziaria, oppure rischia che qualcun altro lo faccia e comprometta seriamente la sua posizione competitiva.

L’ideale sarebbe che non ci fosse nessuna pressione dello Stato e che i concorrenti rimanessero timorosi; la prima condizione non c’è e la seconda è un rischio a meno che non si sappia già che c’è un altro compratore. Infine, è abbastanza chiaro che ci sono soluzioni che tutelano anche l’investitore privato, altrimenti la compagine azionaria sarebbe ferma a 18 mesi fa.

Per quanto riguarda il ruolo pubblico nella rete telecom ricordiamo che Orange, già France Telecom, e Deutsche Telekom sono saldamente in mano pubblica. Il primo azionista di Orange si chiama “Repubblica francese” e il secondo è l’equivalente della nostra Cdp, per un 23% totale con l’aggiunta del 6,5% di Credit Agricole, mentre in Deutsche Telekom la classifica è invertita per un 32% totale. Si presume che tutti comprendano che la rete telecom è un po’ più “sensibile” di quella del gas.

Oggi sembra esserci una congiunzione astrale per cui molti azionisti privati di Telecom, tranne, pare, Vivendi, sono favorevoli alla creazione di una rete unica, lo Stato anche e l’autorità pure. Speriamo che questa congiunzione astrale non passi prima che si riesca a prendere, finalmente, la decisione di maggior buon senso.