Dopo il Trattato di Aquisgrana, siglato meno di un mese fa, Francia e Germania hanno firmato un manifesto con l’obiettivo di creare dei campioni industriali a livello europeo. Nel documento sottoscritto dai ministri dell’Economia Bruno Le Maire e Peter Altmaier si chiede in particolare di aumentare gli investimenti tecnologici, controllando maggiormente quelli provenienti da paesi non membri Ue ed estendendo anche gli aiuti di Stato in settore strategici, e rivedere le linee guida sulle fusioni e le acquisizioni in Europa. Non sfugge che questa richiesta arriva poco dopo la bocciatura, da parte dell’Antitrust Ue, della fusione tra la tedesca Siemens e la francese Alstom. “Mi sembra che si voglia strumentalizzare un’idea importantissima con lo scopo pratico di forzare la mano su questa fusione”, ci dice l’economista ed ex ministro delle Finanze e per il Coordinamento delle politiche comunitarie, Francesco Forte.
Perché parla di idea importantissima?
Perché finora in Europa ci si è occupati molto delle regole di bilancio, ma non di politiche strutturali di crescita. Mi sembra quindi giustificato volersi muovere per creare dei campioni industriali europei, perché diversamente abbiamo un’Ue che si occupa di tutto tranne che dell’essenziale. Per creare dei campioni industriali europei occorre però avere un mercato unico, che non è una parola ma un oggetto. Costruire grandi imprese che lavorano come gruppi collegati tra loro implica che ci sia un sistema efficiente di infrastrutture e comunicazioni. Oltre a questo sistema, ancora non completo in Europa, occorre lavorare sulle regolamentazioni, perché le regole europee sulla concorrenza mostrano una struttura del tutto arcaica.
Cosa intende dire professore?
La teoria della concorrenza attuale non è più quella di Smith: oggi abbiamo a che fare con la teoria dei mercati contestabili. Si possono anche avere grandi imprese che controllano un’ampia quota di mercato, a condizione che il mercato sia aperto, cioè che qualcuno possa arrivare, anche dall’estero, a sfidare queste grandi imprese: questo è il mercato contestabile. Bisogna quindi rivedere le norme europee sulla concorrenza, le quali sono troppo orientate alla dimensione del mercato.
In effetti nel manifesto Francia e Germania chiedono di rivedere la regole dell’Antitrust, ma vogliono anche che ci sia un controllo sugli investimenti che arrivano da paesi non Ue…
Il mercato deve essere aperto, ma questa apertura non deve essere incondizionata: bisogna tenere conto della sicurezza pubblica militare. In settori strategici, come la difesa o anche la telefonia, occorre quindi fare molta attenzione, anche all’interno della stessa Ue però.
In che senso?
Finché l’Europa non ha una politica di difesa comune, bisogna fare molta attenzione alle operazioni di integrazione nel settore della difesa. Se per esempio si facesse un’aggregazione tra un’impresa militare francese e una italiana e la prima avesse la maggioranza vorrebbe dire che l’Italia diventerebbe un pezzo di Francia. Siccome non abbiamo messo in comune la sovranità nella difesa, è chiaro che a quel punto non avremmo messo in comune la sovranità, ma l’avremmo data a un altro Paese. Quindi prima bisogna fare la difesa comune, poi stabilire che ci sono le imprese comuni della difesa come campioni. Nel frattempo ci si può e deve difendere dall’entrata straniera, anche a livello di singole nazioni.
Cosa pensa quindi di questo manifesto franco-tedesco?
Anzitutto trovo che queste operazioni vadano fatte tra tutti i paesi membri e non solo tra due o un gruppetto di essi, altrimenti non facciamo altro che confermare quanto si è già visto con l’euro dove c’è un direttorio franco-tedesco. L’idea espressa dal manifesto, quindi, è di per sé buona, ma dovrebbe essere portata avanti da più soggetti. Inoltre, è poco credibile presentare un documento del genere poco dopo la bocciatura della fusione tra Siemens e Alstom, perché appare come un’interferenza politica in una scelta di un’Authority. L’Antitrust europea avrà anche regole discutibili, ma vanno cambiate a livello condiviso europeo, non attraverso la richiesta di due paesi. A maggior ragione quando si tratta degli stessi due paesi che hanno chiesto all’Antitrust europea di bloccare la fusione Fincantieri-Stx.
(Lorenzo Torrisi)