Negli ultimi giorni ci siamo imbattuti in un paio di notizie degne di nota. Della prima si è avuta traccia nella pessima performance azionaria di Leonardo e Bae Systems, inglese, di giovedì a causa dell’annuncio del Governo tedesco di voler continuare a bloccare le esportazioni di armi verso l’Arabia Saudita. La decisione ha degli impatti rilevanti sul programma Eurofighter, a cui collaborano imprese italiane, Leonardo, inglesi, Bae Systems, e tedesche; in sostanza il rischio è che commesse da diversi miliardi di dollari saltino e quindi si comprende il disappunto degli investitori. Ovviamente la “polemica” si inserisce in uno scenario ampio che comprende le tensioni tra Stati Uniti e Germania sul Nord Stream 2 e i dazi, e quelle con la Gran Bretagna con cui l’Unione Europea sta trattando per definire la Brexit. La seconda notizia è quella dell’incontro tra l’ambasciatore americano in Italia e l’ad di Tim che tutti hanno messo in relazione alle pressioni del Governo Usa perché in Italia non ci si affidi alla tecnologia cinese di Huawei per la rete 5G.
Segnaliamo queste notizie per evidenziare come in Europa non ci sia esattamente un’unità di intenti tra gli Stati europei sulla qualità e sull’intensità dei rapporti che occorre avere con “l’alleato” americano. Lo scontro tra America e Cina, o Russia, apre in Europa un dibattito molto vivace tra governi che hanno gradi di autonomia e interessi molto diversi. L’Unione Europea, creata evidentemente almeno con un assenso esplicito americano e due dei tre Paesi fondatori che hanno perso la guerra, oggi si trova in un contesto internazionale diversissimo da quello di 10 anni fa. Il contesto è talmente diverso da mettere in discussione persino la composizione della Nato.
La questione che emerge è la fragilità e la debolezza dell’Ue, che appare sempre di più per quello che è; non solo un progetto incompiuto, ma anche e soprattutto debole per la miopia incredibile dello sviluppo degli ultimi 10 anni e la sua incapacità di rispondere alle sfide aperte con la crisi del 2008. Il modello centrato sulle esportazioni, con il marco artificialmente svalutato via euro, condito da una vagonata di liquidità parcheggiata in Bce perché non si deve investire, ha fatto la fortuna dei tedeschi, ma ha reso l’Europa riscattabilissima e fragile. I tedeschi fanno le stesse cose di dieci anni fa con la stessa strategia in un mondo stravolto e non sembrano avere alcuna intenzione di cambiare; ma quel modello nel nuovo mondo esiste solo a spese degli altri.
Oggi, poi, gli equilibri europei sono il risultato di una guerra civile combattuta e vinta nel 2011 dall’alleanza franco-tedesca contro il “clubmed” e culminata con il quasi golpe contro l’Italia, con la complicità della Bce, che ha prodotto l’austerity e reso il sistema finanziario italiano completamente dipendente dall’Europa. La cronaca degli eventi del 2011, dal rialzo dei tassi di Trichet, passando per la letterina di agosto, andando avanti con la Bce che scompare e poi ricompare a salvare tutto solo dopo l’austerity di Monti con distruzione della domanda interna funzionale all’Europa franco-tedesca, è palese nelle sue motivazioni. I tedeschi ci hanno guadagnato l’euro debole, con l’incredibile esplosione in contemporanea di surplus commerciale e fiscale, e i francesi la Libia. Il sorrisino tra Merkel e Sarkozy che festeggiavano quello che stavano per fare agli italiani è un ricordo vivissimo.
Ritiriamo fuori le vicende del 2011 con cui si è cristallizzato il successo dell’Europa carolingia sui Paesi mediterranei in un sistema che, ricordiamo, non è democratico (il Parlamento europeo non conta nulla) e non ha meccanismi di redistribuzione interna, per comprendere cosa accade oggi. Lasciamo stare per un attimo la questione, abbastanza chiara, che senza quella fase non sapremmo nemmeno chi sia Di Maio e Salvini sarebbe un rampante consigliere comunale di Milano. Quello che ci preme è che la diffidenza italiana a unirsi come colonia, ovviamente, al centro franco-tedesco non è incomprensibile.
Ancora oggi è chiaro che il salvataggio del sistema finanziario italiano all’interno del sistema euro in una fase di recessione avverrà con i soldi degli italiani, con un altro giro di austerity, e probabilmente con la nomina di un viceré che sembra già profilarsi all’orizzonte. E i frutti di questo sacrificio nel sistema euro controllato solo ed esclusivamente da Francia e Germania non saranno degli italiani, ovviamente, ma di tedeschi e francesi. Chi crede il contrario o è complice o è un grave caso di naïveté. Qualcuno ci dirà che è inevitabile che il salvataggio si paghi e noi potremmo anche concordare in linea di principio, ma la realtà è che l’arbitro è venduto e quindi il salvataggio qualcuno lo paga con il sangue, qualcuno con le lacrime e qualcuno per niente e che questo arbitro è concorrente dell’Italia.
Oggi quindi ci riempiamo la bocca di “Europa” e ripetiamo lo stesso errore degli ultimi vent’anni, e cioè quello di confondere quello che vorremmo che fosse o che ci hanno detto che sia, con quello che è in realtà. E tra le due cose c’è un abisso; il mitico centro “carolingio” non ha nessuna intenzione di costruire niente e tanto meno l’Europa, ma solo, al limite, di completare il processo di colonizzazione. I mitici campioni europei hanno sede a Parigi o a Francoforte, con tutto il corollario di dirigenti. E in questo c’è l’origine dei mali dell’Europa di oggi. Chi l’ha condotta negli ultimi dieci anni l’ha usata senza mai preoccuparsi, da leader, di costruire uno Stato in cui tutti potessero stare; certo è chiaro che la Baviera si merita di più che altri, però poi almeno l’euro svalutato dovrebbe pagarlo mentre oggi non solo non paga i salvataggi della Grecia, ma ci fa un sacco di soldi.
Sappiamo quanto possono essere “cattivi” cinesi, russi e americani, ma risparmiateci la barzelletta che dovremmo “fare gli europei” quando in realtà l’Europa non esiste e il bello è che l’hanno capito tutti, cinesi, russi e americani. A questo punto della storia quello che ci dovremmo chiedere è chi ci offre il “deal” migliore, sia esso americano, russo o marziano. Il deal che ci offre l’Europa, giusto per essere chiari, è lo stesso, identico, del 2011/2012, anzi in realtà è peggiore perché siamo molto più deboli e fuori dall’Europa è un disastro. Comprendiamo che l’establishment, incluso quello italiano, è disposto a tutto pur di salvare l’euro e il suo sistema con annessa austerity, patrimoniale, oro della banca d’Italia, ecc., però a un certo punto dovremmo anche cominciare a chiamare le cose con il loro nome e smettere di convincerci che “l’Europa” sia qualcosa che si decide al Parlamento europeo. O tanto meno qualcosa in cui possiamo tornare a “comandare” insieme agli amici franco-tedeschi quando sappiamo che le carte sono segnate. Se “l’Europa” è la stessa che ci fa la guerra in Libia da 7 anni con l’intento chiarissimo di farci fuori, forse un paio di domande dovremmo farcele. Poi magari decidiamo che è comunque meglio di quello che ci offrono gli altri, ma almeno sappiamo cosa ci tocca.