Il giudizio di Fitch sull’Italia non era affatto scontato e il non-declassamento del rating – nonostante l’outlook negativo – resta una notizia indiscutibilmente notizia: la migliore, fra l’altro, di un venerdì che ne ha registrate parecchie altre. Meno annunciate e meno positive per la posizione dell’Italia sui mercati finanziari.
Pochi minuti prima che Fitch emettesse la sua review periodica sull’affidabilità finanziaria italiana, flash d’agenzia provenienti da Francoforte hanno anticipato che qui i ministri delle finanze di Francia (Le Maire) e Germania (Scholz) hanno raggiunto un accordo sulla futura formulazione dell’ “euro-budget”, cioè dello strumento che verrebbe messo a disposizione del nuovo “ministro delle finanze della Ue”, embrione di una politica comunitaria di bilancio a fianco di quella monetaria e bancaria gestite dalla Bce. Ebbene, si tratterebbe di un format nettamente “alla tedesca”, lontano dall’euro-riformismo delineato l’anno scorso dal presidente francese Macron. Un’euro-budget poco dotato (la fonte principale sarebbe la “Tobin tax” sugli scambi di Borsa) e soprattutto vincolato all’usuale meritevolezza burocratica rispetto a impegni assunti semestralmente da ogni Paese presso la Ue.
Sempre ieri non era affatto atteso veder spuntare l’Italia in un rapporto diffuso dalla Fed, in vista dell’audizione semestrale al congresso americano del governatore Jerome Powell. Ebbene: “il deterioramento dell’outlook fiscale dell’Italia e l’incertezza su Brexit” vengono specificamente citati come “fattori di rischio” per la stabilità finanziaria globale, anche se dopo le tensioni sul commercio con epicentro Usa-Cina. Decisamente non un buon segnale, soprattutto perché proveniente da una sponda ritenuta ultimamente benevola nei confronti dell’Italia in chiave di contrasto al riformarsi al centro dell’Europa di un asse franco-tedesco, ostile all’amministrazione Usa.
A riequilibrare – almeno in parte – il notiziario della giornata ci ha pensato Mario Draghi. Il presidente della Bce ha parlato a Bologna, dov’è stato insignito di una laurea honoris causa in giurisprudenza. Ha ribadito la sua fiducia di banchiere dell’euro nell’apprezzamento (75%) che i cittadini europei continuano a manifestare nei confronti dell benefici dell’integrazione economica e monetaria.
Ha invece espresso, Draghi, la sua preoccupazione nell’osservare il calo del consenso nei confronti delle istituzioni centrali, “dal 57% nel 2007 al 42% di oggi”. “Questo declino – ha chiarito Draghi nel suo intervento dal titolo ‘La sovranità in un mondo globalizzato’ – è parte di un fenomeno più generale che vede diminuire la fiducia in tutte le istituzioni pubbliche”. E “quella verso i governi e i parlamenti nazionali oggi si attesta appena al 35%”, ha sottolineato.
Tuttavia, è l’avvertimento del governatore della Banca centrale europea, “in un mondo globalizzato l’Unione europea diviene oggi ancora più rilevante”. “Tutti i Paesi per essere sovrani devono cooperare. E ciò è ancor più necessario per i paesi appartenenti all’Unione europea”, ha spiegato. “La cooperazione, proteggendo gli Stati nazionali dalle pressioni esterne, rende più efficaci le sue politiche interne”.
Parole che sono state colte come un avvertimento a tutti i governi sovranisti della Ue, nell’imminenza del rinnovo dell’euro-parlamento. “Porsi al di fuori dell’Ue – ha insistito Draghi – condurre a maggior indipendenza nelle politiche economiche, ma non necessariamente a una maggiore sovranità. Lo stesso argomento vale per l’appartenenza alla moneta unica”. Poche ore prima che Fitch concedesse ancora una chance al governo di Roma per raddrizzare la politica finanziaria.