Parliamoci chiaro: ma quando gli ricapita, ai grillini, di avere tante poltrone da ricoprire nominando amici? Il panorama che si è squadernato davanti agli occhi di Luigi Di Maio e della sua squadra pentastellata di governo è quello che apparve a Pinocchio appena arrivato al Paese dei balocchi. E la tornata di nomine in arrivo – nomine pubbliche di prima categoria – è di quelle che avrebbe fatto leccare i baffi ai più scafati boiardi della Prima Repubblica.



Dunque deponiamo ogni idea di stoica superiorità agli interessi di bottega. La sola idea che alla presidenza della Fincantieri, colosso industriale mondiale italiano controllato dalla Cassa depositi e prestiti, possa essere insediato un carneade come Paolo Simioni, presidente e dg di Atac, l’azienda municipalizzata dei trasporti romani, fa ridere per non piangere. E senza nulla togliere a Simioni, che magari è il manager più bravo del mondo e non riesce a dimostrarlo all’Atac solo perché il carrozzone pubblico romano è insalvabile… Ma proprio viene da chiedersi cosa c’entri un manager “di terra” e di territorio con la Fincantieri, salvo il fatto di essere già stato cooptato in una squadra grillina.



Ma fermi tutti: e i leghisti? Possibile che Salvini – portato in auge dai sondaggi e dalle cronache – non alzi il prezzo delle sue poltrone? Che dopo aver ingoiato il rospo dell’Inps, dove al posto del candidato naturale leghista Alberto Brambilla (considerato unanimemente uno degli economisti previdenziali più bravi d’Europa) è stato insediato tale professor Tridico, apprezzato di Di Maio, non voglia rifarsi? La risposta è ni. Vuole rifarsi, ma non vuole rompere sulle nomine. Vuol tenere fede alla parola data di tener fede all’alleato, scusate il bisticcio. Non vuole e non può farsi accusare da Di Maio di aver tradito per una poltrona. Gli piacerebbe far di testa sua, ma non può, senza fa saltare il Governo, rivotare (primo scenario incerto: Mattarella lo consentirebbe?), rivincere (probabile ma non sicuro, seconda incognita dunque) e poi riprendere a comandare. D’altronde Salvini vorrebbe anche passare all’incasso dello straordinario gap di consenso che sta accumulando contro i Cinquestelle. E c’è da giurarci che prima o poi qualcosa in quella direzione la farà.



Tornando alle nomine, restano comunque un’occasione di lotta di potere, se non di rottura. C’è da nominare il vicedirettore generale della Banca d’Italia: Luigi Federico Signorini è stato indicato dall’istituto e stoppato dal Governo, ma è gradito al Colle. Ora pare che rischino altri top-manager, visto quel che ha detto il premier Conte in una recente intervista: “Non nascondo che questo Governo, nell’esercizio delle proprie prerogative, sarà sensibile verso segnali di rinnovamento provenienti da Bankitalia”. Rinnovamento anche per il Ragioniere generale per cui sembra profilarsi un avvicendamento. Mentre su Fincantieri Conte, pur dando per scontata la nomina del 75enne amministratore delegato Giuseppe Bono, ha detto che “personalmente, auspico qualche segnale di rinnovamento, ma in un quadro che garantisca la necessaria continuità rispetto a una gestione manageriale che si sta rivelando vincente”.

E non basta. In casa della sola Cassa depositi e prestiti, che detiene il 71,6% del gruppo cantieristico attraverso la controllata Fintecna, le nomine arrivate a scadenza sono diverse: nel biennio 2018-2019, ci sono 14 cda da rinnovare e 15 collegi sindacali. Mentre a Cdp Reti il presidente e l’ad di Cassa hanno insediato se stessi, ancora alcuni tasselli vanno sistemati: Cdp Equity, Cdp Immobiliare e Cdp Investimenti Sgr. Il prossimo 6 marzo un cda della Cassa dovrebbe approvare e presentare le liste di candidati nelle principali partecipate, con le assemblee ai primi di aprile: oltre a Fincantieri (in programma a Trieste il 5 aprile), tra i dossier anche Snam (2 aprile) e Italgas (4 aprile). La comglomerata Sace-Simest dovrebbe decidere a primavera.