Caso Consob, svolta in vista. O forse no. Dopo quasi cinque mesi di presidenza vacante, l’organismo di vigilanza dei mercati potrebbe veder giungere alla sua guida il ministro per i Rapporti co l’Ue, Paolo Savona. L’indiscrezione di stampa, lanciata per primo dal sito Dagospia, è arrivata nel tardo pomeriggio di venerdì, corredata da una dichiarazione sibillina dell’interessato: «Non so cosa stia succedendo dietro alle mie spalle». Quindi, o dissimulazione per paura di una nuova delusione, dopo quella del “no” del Quirinale che gli sbarrò la strada verso il ministero dell’Economia oppure qualcosa di peggio. Un mercanteggiamento, vero e proprio, all’interno del Governo per giungere a un assetto “rivisitato” dell’esecutivo senza passare dal passaggio formale – e pericoloso per gli equilibri, già messi a dura prova dal caso Tav – del rimpasto ufficiale. E, cosa più grave, apparentemente con l’ok del Quirinale all’operazione, la quale – sempre stando alle indiscrezioni di stampa – lascerebbe vuota la casella del ministro Savona: nessun rimpiazzo al ministero dei Rapporti con l’Ue. Interim a Conte? A Tria? A Moavero? Non si sa, opacità assoluta.
Un po’ strano, quando i rapporti con l’Europa paiono la priorità assoluta e lo stesso appuntamento con le elezioni di fine maggio viene dipinto come l’Armaggedon day, un nuovo quesito fra monarchia e Repubblica. Ieri, poi, il tweet del grillino Nicola Morra, presidente della Commissione antimafia: «Savona: perché perdere un buon ministro ed impantanare #Consob in ipotesi di assai dubbia percorribilità giuridica? Il candidato di un coraggioso #GovernoDelCambiamento è dal 14 novembre uno solo: Minenna». Insomma, caos totale di nuovo. Una cosa è chiara, però. Ovvero, lo sgradevole cotè di deteriore potere romano che sta apparentemente dietro a tutta la vicenda, comiciata di fatto – e nel silenzio generale verso l’opinione pubblica – qualche giorno prima con una strana polemica, apparentemente molto da “addetti ai lavori”. Anzi, ai livori, per meglio dire.
Prima di raccontarvela, meglio ribadire un concetto, però: vi confermo che non ho alcuna simpatia per questo Governo. Anzi. E, soprattutto, non ho interessi personali nascosti o doppi fini. Detto questo, c’è davvero qualcosa di escrementizio nell’odore che si è levato attorno alla vicenda Consob, negli ultimi due giorni. Mi riferisco al caso Minenna, ovvero alla mezza gaffe compiuta dal candidato in pectore di Lega e M5S alla guida dell’organismo di vigilanza dei mercati, un moderno Godot in attesa da settimane della messa all’ordine del giorno della questione da parte di Giuseppe Conte in sede di Consiglio dei ministri e, soprattutto, del via libera – tutt’altro che scontato – della sua nomina da parte del Capo dello Stato.
Nodo del contendere, un logo dell’Esm, più noto come Fondo salva-Stati, che Marcello Minenna e il collega economista di area grillina, Andrea Roventini, hanno piazzato sulla copertina di un paper di lavoro dedicato proprio alla riforma della governance del Fondo e presentato presso il Fmi, istituzione anche il cui logo faceva bella mostra di sé sul documento. Ovviamente allertato da qualche indignato a orologeria (e, forse, per conto terzi) interessato a cospargere di letame e bucce di banana l’ultimo miglio della corsa di Minenna alla presidenza della Consob, l’Esm ha puntualizzato in un tweet di non essere associato alla ricerca o alle conclusioni che essa trae e che nessun suo membro abbia collaborato alla stesura della stessa. Legittimo. Ma, di fatto, una mezza accusetta di utilizzo indebito del logo. Magari non proprio spontanea e caldeggiata dall’Italia. Magari.
Accidenti, quale colpa atroce, quale delitto senza possibilità di assoluzione, addirittura aver usato il logo dell’Esm su delle slides! Calcolando quale nomea insegua il Fondo salva-Stati presso le opinioni pubbliche europee dal 2011 in poi, oltretutto, al limite Minenna può essere accusato di autolesionismo. Ma tant’è, l’Italietta invidiosa dei leccapiedi senza più padrini e dei falliti di successo in cerca di referenti alla riscossa è entrata in azione. Addirittura, pare ottenendo un’ammissione di disagio (non ufficializzato, in questo caso) anche da parte del FmiI per l’utilizzo anche del suo logo: parliamo dello stesso Fmi che, non più tardi di due settimane fa, Jean-Claude Juncker ha accusato di essere il vero carnefice della Grecia con le sue ricette. Praticamente, gente che se la gioca con Jack lo Squartatore e Ted Bundy a livello di popolarità. Dello stesso Fmi le cui previsioni macro sono definite nell’ambiente hockey sticks, mazze da hockey, visto che le continue revisioni in corso d’opera (dovute a marchiani e cronici errori di valutazione) ricordano il profilo di quegli attrezzi sportivi. Dello stesso Fmi, soprattutto, che ha concesso a Minenna la location per la presentazione del suo studio: lamentarsi del fatto che l’ospite metta il logo dell’ospitante sulla prima pagina del documento che viene presentato, suona villano e inelegante. Oltre che palesemente pretestuoso.
Ma immagino che le chiamate dall’Italia, via telefono, mail, Skype e piccione viaggiatore per ottenere quel carico da novanta contro Minenna, dopo il tweet dell’Esm, siano state sfinenti. Quindi, assolviamo i poveri tirapiedi di ultimo livello di Washington per questo boatos informale. La missione, però, è chiara: preservare il fortino dell’autoreferenzialità da relazione dall’assalto dei barbari alle porte, anch’essi in alcuni casi – occorre ammetterlo, basti vedere lo scempio in atto a Rai2 – già proni a questa italica disciplina olimpica di occupazione del potere. Marcello Minenna, poi, ha avuto la pessima idea di giustificarsi, sempre via Twitter: «Il logo Esm è stato usato solo per migliorare la resa grafica». E gli autori, ha aggiunto, «avevano anche pubblicato un apposito disclaimer sulla copertina per precisare che le opinioni espresse erano solo nostre». Insomma, non sarà la giustificazione del secolo, ma certamente se la gioca a livello di credibilità e grado di convinzione con la forzatura dell’Esm e la presunta stizza del Fmi. Insomma, una tempesta in un bicchiere d’acqua. Ma sei hai contro la nomenklatura degli ecomomisti da video e da salotto, progenia più indegna dei politici di lotta e di governo, il contenitore in questione si trasforma facilmente in piscina. Anzi, in oceano.
Prima con lo shitstorming classico sui social network, con legioni di frustrati in tweed e velluto a coste che si spacciano per grandi economisti o conoscitori dei mercati, nonostante gridassero al miracolo della ripresa globale fino a tre settimane fa, magnificando i rally azionari statunitensi e ignorando l’esistenza stessa del sostegno “dopato” dei buybacks. Poi, armando la mano dei colleghi retroscenisti, i quali ovviamente hanno fatto ricircolare ad hoc lo scenario in base al quale questa brutta scivolata formale di Minenna vada ad aggiungersi, come limite ostativo nella sua corsa alla guida della Consob, ai ricorsi pendenti contro la sua promozione a capo di un dipartimento dello stesso organismo da parte di suoi ex colleghi. Accuse tutte da provare, ovviamente. Ma si sa, l’importante è l’accusa. La smentita del caso andrà sempre e comunque in basso a destra, a pagina 54, accanto agli annunci delle massaggiatrici. Insomma, usando un francesismo, vogliono fottere Minenna. E, probabilmente, come dimostrano gli sviluppi di queste ore, ce la faranno. Visto anche il poco gradimento – di fatto, vincolante – di cui godrebbe al Colle. Questione che mi tocca a livello personale quanto il destino calcistico del Chievo, sia chiaro, ma che altresì tradisce più di un nervo scoperto nel corpaccione del Deep State nostrano, nel cuore del Leviatano paludato del potere romano.
Che fare, quindi? Il ministro Di Maio starebbe per scaricarlo, dicono i bene informati e lo stesso ministro Salvini, mai particolarmente entusiasta del suo nome, avrebbe sussurrato che un minuto dopo la sua nomina, lo spread andrebbe alle stelle. Il continuo rimando della calendarizzazione della sua nomina in Consiglio dei ministri da parte di Giuseppe Conte, poi, completerebbe il quadro della classica caduta a un centimetro dal traguardo. I sempre bene informati delle cose romane, inoltre, dicono che il no a Minenna alla Consob sarebbe frutto anche di altro, oltre che della poca convinzione politica e dell’invidia di colleghi e detrattori (alcuni dei quali con lauree e master ben più millantati del logo usato da Minenna o con cattedre presso università semi-sconosciute e numero di pubblicazioni accademiche pari alle presenze in campo collezionate quest’anno da Montolivo). Ovvero, far saltare il banco che prevederebbe, nella volontà dei Cinque Stelle, di mettere mano all’intera squadra di commissari dell’organismo di Vigilanza, rimasto senza guida dal 13 settembre scorso, data delle dimissioni forzate di Mario Nava. Da allora, alla guida della Consob c’è il commissario Carmine Di Noia, uno che non mette loghi a vanvera sui report che produce. Una persona a modo, perbene e preparata. E con un background di tutto rispetto, visto che arriva da Assonime, l’associazione delle società per azioni italiane, in passato già presieduto da un uomo per tutte le stagioni come Luigi Abete.
Di Noia ha prestato servizio presso quella che Dagospia definisce “la Confindustria delle spa” fino al 2016, quando ha ricevuto l’incarico per l’autorità di vigilanza. E proprio dalla Consob è arrivato il suo successore in Assonime, l’ex responsabile della Divisione di corporate governance, Marcello Bianchi. Insomma, un bell’esempio all’italiana di porte girevoli tra controllato e controllori. Mica una cosa grave come il logo dell’Esm sul paper di Minenna, accipicchia! Come mai economisti e giornalisti economici, così lesti e operativi nel massacrare Minenna sui social e ovunque possano attivare la macchina del fango, non hanno mai lanciato strali e tweets indignati contro questa stranezza, tutta interna alla Consob? Vi pare normale un passaggio così disinvolto di carriera fra controllati e controllori? Nessuna accusa, per carità. Sono certamente tutte persone di specchiata onestà e professionalità assoluta, ma appare quantomeno strabico l’atteggiamento di chi invoca una Norimberga per Minenna (oltre allo stralcio immediato del suo nome dalla lista per la presidenza Consob, ça va sans dire) e la sua passione per le grafiche dei rendering ben bilanciate (e, magari, anche per un po’ di mitomania), ma non batte ciglio per certe simpatiche abitudini negli avvicendamenti degli organigrammi degli enti statali di controllo e vigilanza. Qualche santuario, insieme a qualche sepolcro imbiancato, teme forse che la nomina di Minenna scoperchi il proverbiale e mitologico vaso di Pandora?
Certamente no, è sicuramente una questione unicamente legata all’amor patrio per la professionalità necessaria a ricoprire un ruolo di quella delicatezza. Infatti, si pensa di spostare il ministro Savona. Il quale, però, essendo pensionato non potrebbe ricoprire quell’incarico, in ossequio alla Legge Madia. Inoltre, la sua incompatibilità trarrebbe forza anche dalla sua presenza negli ultimi due anni in Consiglio dei ministri (ente che conferisce l’incarico di capo della Consob), oltre che dal suo essere stato direttore del Fondo Euklid (soggetto che viene regolato dall’ente che conferisce l’incarico). E, sempre per l’importanza che viene riconosciuta al ruolo in questione, si starebbe quindi pensando a una “soluzione Freccero”, ovvero incarico senza compenso e solo per un anno. Quando il mandato alla guida della Consob ne dura sette. Ecco la serietà con cui sarebbe in corso di valutazione la situazione, chiaro, cari lettori? Meritocrazia prima di tutto.
E, come dimostrano gli esempi del passato recente, dalle montagne russe di Alitalia che restava però in contrattazione a Monte dei Paschi, fino alle dormite colossali mentre mezza Europa vietava le vendite allo scoperto sui titoli bancari e alle allegre quotazioni delle squadre di calcio, grazie a deroghe sui bilanci benedette all’epoca da Mario Draghi, c’è da dire che quella dote è sempre stata il tratto distintivo della Consob dei salotti buoni. Quella che oggi si attacca a un logo – senza che vi sia stato alcun reato, né violazione ma solo imprudente utilizzo – forse per non perdere potere. Tradendo però, anche attraverso l’agitazione epilettica delle dichiarazioni al veleno e l’iperattivismo di sedicenti e compiacenti “esperti”, tutto il non detto che sottende a questa triste, ennesima pagina di potere che logora.
Non conosco personalmente Marcello Minenna, non ci ho mai nemmeno parlato una volta per telefono. Quindi, la mia non è una difesa nei suoi confronti, nemmeno d’ufficio. Tocca ad altri valutare il suo grado di preparazione per quel ruolo. Io so che dal 13 settembre, però, questo Paese non ha una guida riconosciuta dell’organismo di vigilanza dei mercati, un vertice scelto dal governo in carica che ne garantisca così esplicitamente il mandato e l’autorità. E so che odio le conventio ad excludendum che questo Paese scatena con regolarità strutturale e conservativa contro chiunque non faccia parte delle corporazioni amicali e del capitalismo mediatico e di relazione che ne regola gli assetti, dal Dopoguerra in poi, vedi il caso Maria Giovanna Maglie.
Sabato, poi, l’indiscrezione sull’ipotesi Savona, non smentita dall’interessato e dipinta dai media come gradita a tutte le parti in causa: Lega, M5S e Quirinale. Della credibilità e della coerenza del ministro Savona, nemmeno parlo: lo fanno per me le sue patetiche capriole politiche, le stesse che lo hanno tramutato in poche settimane da Che Guevara della politeia per rivoltare come un calzino la governance dell’Ue a democristiano di lungo corso, apologeta della necessità di un dialogo con l’Europa sulla manovra economica, a suo dire divenuta “tutta da cambiare”. E nemmeno mi interessano gli esperimenti col bilancino, degni di un manuale Cencelli in sedicesimi, dei ministri Salvini e Di Maio per zavorrare il Governo ed evitarne il crollo. Se però le ricostruzioni fatte dai quotidiani fossero vere, allora l’atteggiamento della Presidenza della Repubblica sarebbe grave. Molto grave. Perché al netto di un’emergenza politico-mediatica continua rispetto alle performance del nostro mercato azionario, del settore bancario e dello spread come unico indicatore di vita o morte, trattare – o lasciare che si tratti – la presidenza Consob come uno strapuntino per piazzare un mobbizzato sgradito e ingombrante, il classico esempio di promoveatur ut amoveatur, sarebbe gravissimo. Irriguardoso. E pericoloso, soprattutto per un Paese che continua a vedere la sua classe dirigente riempirsi la bocca con la necessità di attrarre investimenti e capitali. Soprattutto ora che la recessione, globale e non solo nostra, è alle porte.
E come lo facciamo, trattando la Consob come un ospizio di lusso presso cui parcheggiare personalità sgradite o divenute ostative a piani inconfessati e inconfessabili? O, peggio, magari come esilio pubblico, una Sant’Elena dorata da offrire sul piatto d’argento alla volontà di vendetta personale (consumata molto fredda) e di invio di messaggi preventivi su chi comanda già ora e comanderà sempre di più, al futuro presidente del Consiglio italiano? Spero che il Quirinale smentisca, come immagino farà, queste ricostruzioni. Resta il fatto che, fra caso Minenna e ipotesi Savona, la presidenza di un’authority di importanza fondamentale in ogni Paese civile e rispettoso del mercato si è tramutata in un immondo mercato delle vacche e in occasione di regolamento di conti nel sottobosco del potere politico-economico, a tutti i livelli: dai massimi a quelli rasoterra dei twittatori mediatici su commissione. Poi ci lamentiamo se scappano gli investitori e lo spread sale.