Negli ultimi trent’anni l’economia italiana si è sempre mantenuta un gradino sotto gli altri paesi europei sul fronte della crescita. Un poco più bassa quando gli altri crescevano, con una flessione più accentuata nei momenti di crisi. Le ragioni sono tante e messe più volte in evidenza. Vanno fatte risalire soprattutto alle politiche dei Governi, incapaci di trasformare le spese in investimenti, e alle scelte delle imprese, troppo spesso improntate alle posizioni di rendita e di garanzia. Certo l’Italia, pur se più lentamente, è comunque cresciuta, ha conquistato posizioni anche in settori altamente innovativi, ha fatto crescere il proprio export cercando e trovando nuovi mercati. C’è un’Italia che assomiglia alla Germania, ma c’è anche un’Italia che, anche geograficamente, è più vicina alla Grecia.
Nord e Sud. In questa dicotomia sta una parte rilevante della spiegazione della scarsa crescita e della fatica dell’Italia a stare al passo con gli altri paesi. La questione meridionale e l’insufficiente livello degli investimenti sono infatti le due cause che vengono considerate alla base delle difficoltà economiche dal XXIII rapporto sull’economia globale e l’Italia curato da Mario Deaglio per il Centro Luigi Einaudi (“Il mondo cambia pelle?”, Ed. Guerini e associati, pagg. 226,€ 21,50). Un rapporto che fotografa in maniera approfondita lo scenario complesso e per molti aspetti preoccupante in cui è iniziato quest’anno particolarmente importante per l’Europa. E infatti si parte da un bilancio del 2018 che viene giudicato, soprattutto per il Vecchio continente, un anno orribile, che tuttavia “potrebbe non essere il peggiore se le attuali tendenze continuano”.
I problemi aperti non sono né pochi, né di facile soluzione, anche perché in molti paesi sembra prevalere la logica di complicarsi la vita da soli andando direttamente a scontrarsi con le onde ineliminabili della globalizzazione. È così anche perché negli ultimi due anni è cambiato tutto. Dall’elezione di Trump alla Casa Bianca al referendum inglese che ha sancito la separazione dall’Europa, dall’affermazione dei partiti populisti in Italia alle crisi dei migranti sono tanti i fattori che hanno cambiato le carte in tavola e avviato una nuova fase caratterizzata dal protezionismi, dalle logiche nazionali, dalla crisi dei tradizionali equilibri politici.
Sul fronte europeo il dato di maggior rilievo appare la frenata dell’economia tedesca che quest’anno potrebbe risentire in maniera significativa delle difficoltà dell’export verso gli Stati Uniti, dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea e delle complicazioni di altri grandi paesi europei come la Francia e l’Italia.
Da un profilo più strutturale non va posta in secondo piano la vulnerabilità europea causata dall’andamento demografico con il duplice effetto dell’allungamento della vita media e del calo delle nascite. Vi è quindi una “crescente dipendenza della popolazione anziana rispetto alla proporzione ridotta di lavoratori e lavoratrici e per un continente che ha fatto dello stato sociale una delle sue caratteristiche identitarie l’invecchiamento della popolazione comporta aggiustamenti e riforme strutturali non facili da comunicare, meno ancora da digerire, come dimostra la diffusione quasi uniforme dei diversi movimenti di protesta”.
Sul fronte italiano, come detto, sono in evidenza i problemi legati al Mezzogiorno. Il rapporto anticipa i risultati di una ricerca sulla libertà economica. Ebbene in questo campo che comprende la libertà di iniziativa, il rispetto della legalità e l’apertura al mercato il divario Nord-Sud è a livelli non solo crescenti, ma anche elevati in tutti gli indicatori di tipo economico-sociale. “Le dimensioni qualitative dello sviluppo – afferma il rapporto – se a lungo trascurate producono effetti reali che vanno dall’emigrazione dei ceti produttivi all’aumento della domanda di sussidi e benefici pubblici: due tendenze che sono ben visibili nell’attuale Mezzogiorno italiano”.