Con la designazione di Paolo Savona a presidente della Consob matura una svolta politico-istituzionale di primo livello: forse la prima effettiva degna di questo nome dopo l’insediamento del governo giallo-verde; e in modo non del tutto scontato nei giorni di massima tensione fra M5s e Lega. Non ha torto, peraltro, chi attende il perfezionamento dell’iter di nomina, che comprenderebbe anche l’indicazione di Marcello Minenna a segretario generale della Commissione di Borsa.
II nome di Savona sembra infatti dover fare i conti con la legge Madia, che imporrebbe all’ormai ex ministro degli Affari europei di restare al vertice della Consob un solo anno e senza compenso. Ma sulla candidatura dello stesso Minenna a presidente si era allungata l’ombra della sua controversa carriera di funzionario presso la stessa authority e la stessa praticabilità legale del “salto in alto”. La promozione a segretario generale – incarico a metà fra il tecnico e il politico, di filtro fra i 5 commissari, la struttura cui lo stesso Minenna fa parte da molti anni – si presenta meno problematica, ma non del tutto liscia: anzitutto perché comporterà la rimozione di Giulia Bertazzolo, nominata soltanto lo scorso giugno dall’ex presidente Francesco Nava.
Resta il fatto – ed è quello che conta – che a Savona viene affidata la guida di un’autorità pubblica indipendente delicatissima in un frangente altrettanto delicato. L’82enne economista nato in Bankitalia e cresciuto poi lungo un curriculum che ha ricompreso la direzione generale di Confindustria, il ministero dello Sviluppo e la presidenza di Capitalia, vigilerà su uno scacchiere strategico: quello della finanza del Nord, attorno alle sue grandi banche e assicurazioni e ai suoi grandi affari (basti pensare allo stallo su Tim e Mediaset, assediate da Vivendi).
Da un ventennio – dopo il passaggio di Tommaso Padoa-Schioppa alla Bce – la Consob ha operato a velocità di crociera: non avvicinando mai la Banca d’Italia di Mario Draghi e poi di Ignazio Visco per potere e autorevolezza. E’ su via Nazionale, peraltro, che si è riversata la pressione crescente del “risparmio tradito”: grande bacino di polemica politico-elettorale, soprattutto verso M5s. Per la verità lo stesso Matteo Renzi – segretario-premier del Pd -aveva preso a cavalcare, a un certo punto, l’onda anti-bancaria. La commissione d’inchiesta sulla crisi bancaria (alla fine della scorsa legislatura) era sorta da un compromesso Pd-M5s, ma Renzi aveva fallito l’obiettivo reale di sostituire Visco. Quest’ultimo è stato infatti confermato, nell’autunno 2017, grazie alla determinazione del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, dietro il quale non è stato difficile scorgere la vigorosa “moral suasion” del presidente della Bce Mario Draghi.
Lo stesso “gioco di squadra” fra Eurotower e Quirinale ha fatto muro, la scorsa primavera, proprio contro Savona: predestinato da Lega e M5s alla poltrona di ministero dell’Economia. Fu lo stallo su Savona a minacciare la nascita del governo Conte e a provocare la clamorosa minaccia di impeachment per Mattarella da parte del leader M5s e futuro vicepremier Di Maio. Savona fu parcheggiato agli Affari europei, rientrando progressivamente nell’ombra del confronto politico-economico e temperando le originari posizione critiche sull’euro.
La designazione di ieri, certamente, gli ri-conferisce un ruolo pesante: soprattutto nel confronto con una Banca d’Italia sempre più indebolita dopo il caso Carige. Né l’approdo di Savona in Consob sembra del tutto estraneo alla conclusione ormai vicina del mandato di Draghi in Bce (le manovre sulla sua successione sono già cominciate e matureranno appena dopo il voto europeo di maggio). Con il rientro – possibile – del banchiere centrale sulla scena italiana, non è sorprendente che la maggioranza (soprattutto la componente “gialla”) abbia voluto schierare in una casella strategica una personalità che verso Draghi non nutre alcun timore reverenziale. Anzi: che attende solo di battersi con il principe dei banchieri globalisti.