All’indomani dell’approvazione da parte del Senato del decretone, passibile ancora di modifiche nel passaggio alla Camera, e a meno di una settimana dal debutto, con la possibilità dal prossimo 6 marzo per i cittadini di farne richiesta, l’Inps ha pubblicato sul suo sito il modulo per la domanda di reddito di cittadinanza: 9 pagine in tutto, di cui le prime 4 informative e le ultime 5 compilative. Il modulo è arrivato sul filo di lana, visto che il 27 febbraio era il trentesimo giorno dalla pubblicazione del decreto che ha istituito il Rdc. Nodi da sciogliere e perplessità non mancano: il Rdc ridarà slancio a consumi e occupazione? Riuscirà a stanare i furbetti? La complessità del meccanismo farà da freno alle richieste? “Molto dipenderà dalle abilità e dalle competenze di chi presenterà la domanda – risponde Leonardo Becchetti, professore di Economia politica all’Università Roma Tor Vergata -, le situazioni di partenza possono essere molto diverse. Diciamo che sarà difficile fare tutto da soli e con quasi assoluta certezza si dovrà far ricorso a un Caf o a un patronato. Molti già si stanno rivolgendo ai Caf proprio per avere lumi, consigli e indicazioni utili”.



Il decretone, approvato due giorni fa dal Senato, ha introdotto nuove misure anti-furbetti, per stanare coloro che magari dichiarano finti divorzi o finte separazioni o improvvisi cambi di residenza. Secondo lei, la macchina dei controlli, annunciata dal Governo, funzionerà davvero?

In Italia più che il motto kennedyano “Che cosa puoi fare per il tuo Paese” vale spesso il detto “Che cosa puoi fregare al tuo Paese”. Altrimenti non si spiegherebbe il paradosso che siamo il Paese con la ricchezza privata aggregata tra le più alte al mondo e con un debito pubblico tra i più pesanti al mondo. La speranza è che, in virtù di controlli e penalità, la furbizia non prevalga, ma la questione vera sarà capire quanto la gente si spaventerà per il rischio di essere scovata e sanzionata. In Italia le persone che lavorano in nero sono tante: per l’Agenzia delle Entrate sono più della metà dei finti poveri. Se i controlli saranno un deterrente efficace, il reddito di cittadinanza sarà un’occasione per far emergere ricchezza nascosta; ma se i controlli saranno deboli, il timore è che molti preferiranno mettersi in nero e poi cercare di cumulare il reddito di cittadinanza.



Di Maio, in un’ intervista al Sole 24 Ore, ha dichiarato che il reddito di cittadinanza non è una misura assistenziale, ma “costruirà un nuovo mercato del lavoro”. Che ne pensa?

Il Rdc è l’una e l’altro. Da una parte, è una misura assistenziale, perché si rivolge a persone che sono sotto la soglia di povertà e non sono sul mercato del lavoro; dall’altra, tramite una serie di meccanismi e vincoli, dai navigator alle offerte di lavoro accettate entro una certa distanza chilometrica, si propone di riportare le persone sotto la soglia di povertà e in età da lavoro all’interno del mercato del lavoro.



Quanto potrà funzionare tutto questo?

Il problema della disoccupazione ha due facce. La prima: c’è un posto di lavoro vacante e c’è un disoccupato che può occupare quel posto, ma per ragioni informative l’incontro domanda-offerta non avviene. Questo mismatch è facilmente superabile, e forse non c’è neppure bisogno dei facilitatori, cioè dei navigator.

La seconda faccia?

A un disoccupato manca un’adeguata competenza per poter ambire a quel posto di lavoro e in questo caso non basta il navigator, ci vuole la formazione. Ma nella misura del Rdc tutte le risorse confluiscono sull’erogazione ai beneficiari e sull’assunzione dei navigator, non c’è un fondo robusto dedicato alla formazione dei beneficiari. E questo è un limite molto forte.

La natura ibrida del Rdc rischia di depotenziarne gli obiettivi e i risultati?

Per obiettivi diversi ci vogliono strumenti diversi. Per le persone bisognose di assistenza perché fuori dall’età di lavoro può andar bene una misura assistenziale. Il Rdc rilancerà i consumi, ma non avrà un impatto decisivo sull’economia. Per avere una spinta alla crescita l’Italia deve rimuovere i suoi limiti strutturali: burocrazia, tempi della giustizia, qualità delle infrastrutture, criminalità. Sono i fattori che ci zavorrano all’ultimo posto nella crescita tra i Paesi Ue.

E per rilanciare l’occupazione cosa servirebbe?

Sono molto più importanti le politiche macro, dalle infrastrutture agli incentivi per gli investimenti, tutte cose che questo governo fa un po’ fatica a fare. Se il Pil cresce, cresce anche la domanda di lavoro. E, poi, serve investire anche sulla riqualificazione del capitale umano, per eliminare il gap tra posti di lavoro vacanti e disoccupati, perché le competenze non combaciano e non si incrociano.

Conte ha già presentato il piano “Proteggi Italia” e in rampa di lancio dovrebbero arrivare a breve la riforma degli appalti e il decreto per sbloccare i cantieri. Sono misure che vanno nella giusta direzione? E non c’è il rammarico che siano state decise con troppo ritardo, vista la stagnazione/recessione in cui versa l’economia italiana?

Lo sblocca cantieri è una misura molto importante, come il varo di InvestItalia: aver capito quanto sia grave non utilizzare decine di miliardi di fondi stanziati per gli investimenti e quanto sia necessaria una cabina di regia per cercare di eliminare gli ostacoli che ne frenano l’utilizzo è un punto decisivo. Il governo fa bene a lavorare su questo. Quanto agli appalti, la questione resta delicata: da una parte, bisogna evitare lungaggini; dall’altra, non va dimenticato che la regola del massimo ribasso nell’economia di oggi è il sistema più terribile per umiliare la dignità del lavoro, la salute dei cittadini, la tutela dell’ambiente. Il rischio da evitare è che la rincorsa alla semplificazione si dimentichi di tutto questo.

Visto l’andamento dell’economia, la manovra correttiva è inevitabile?

Il rischio di qualche intervento correttivo c’è, ma non prima delle elezioni europee. Nessuno ha interesse ad alzare la tensione, neanche l’Europa. Bisognerà vedere come sarà la congiuntura, anche se i segnali ultimi sulle prospettive di crescita fanno pensare sicuramente a un aumento del deficit rispetto a quanto programmato e concordato con la Ue.

Il governo continua a ribadire che non ci sarà bisogno di una manovra correttiva. In alternativa l’Europa potrebbe chiederci di introdurre la patrimoniale?

No, la patrimoniale no. Nessun governo vorrà farla. E non so nemmeno quanto possa essere efficace.

E le clausole di salvaguardia?

L’aumento dell’Iva indiscriminato colpisce di più i ceti medio-bassi. Se si facesse un intervento più selettivo, aumentando l’imposta su beni di lusso, tabacco eccetera, gli effetti regressivi sarebbero inferiori.

Ma quanto potrà crescere l’Italia nel 2019?

Le prospettive sono difficili: diciamo che se centreremo un +0,5% sarà un buon risultato.

(Marco Biscella)