Negli Stati Uniti occorre una “macchina da debito”. E spendibile non solo presso l’opinione pubblica statunitense, ma presso anche quella mondiale, sia per la questione della leadership da riaffermare, sia perché quel “modello” fa comodo anche ad altri. Occorre una nuova rivoluzione globalista, occorre – magari – una Bill Clinton in gonnella. Ma non la moglie, già sacrificata sull’altare della Fed e della sua necessità di continuare a stampare con una scusa credibile, serve qualcosa di nuovo. E cosa c’è di meglio di un piano dal sapore rooseveltiano come il “Green New Deal” di Alexandria Ocasio-Cortez, la più giovane deputata mai eletta al Congresso, figlia di immigrati portoricani, cresciuta nel Bronx e fieramente anti-trumpiana? È perfetta. Carina, ha fatto la cameriera per mantenersi agli studi, è femminista, attenta ai diritti civili e sociali, al tema del gender e, soprattutto, al grande business politico-economico del prossimo futuro: la tutela dell’ambiente e la lotta ai cambiamenti climatici. La vera torta da spartirsi, altrimenti perché ci farebbero odiare tanto un’energia economica, pulita e statisticamente sicura come il nucleare? Perché finirebbe il business delle rinnovabili e delle idiozie alla Al Gore!



Come diceva Gordon Gekko in Wall Street, parlando della sua filosofia di investimento, “là fuori la gente lancia freccette contro un bersaglio. Io scommetto solo sul sicuro”. Una sicurezza che oggi ha politicamente un nome e un volto, social, verde e spendibilissimo. E cos’è il “Green New Deal” lanciato dalla Ocasio-Cortez? Niente più e niente meno che un piano politico-economico di completa rivoluzione della società statunitense tutto basato sui canoni dell’ambientalismo e della sostenibilità, in molti ambiti dell’impatto zero: una riconversione destinata a durare 10 anni e ribaltare completamente la struttura industriale di intere società. Il tutto, in base a un immaginaria clessidra che – casualmente – ci dice che siamo ancora in tempo a salvare il pianeta. Ma, attenzione, occorre muoversi subito. Ma proprio subito subito. Un business, signori. Enorme.



E sapete quanto enorme? Ce lo dice l’ex direttore del Cbo, Douglas Holtz-Eakin, ovvero del think tank bipartisan che ha realizzato questo grafico da mani nei capelli sulla traiettoria e la sostenibilità dell’indebitamento federale statunitense alla luce del nuovo record dei 22 triliardi di debito pubblico raggiunti a metà mese. Si tratta di un pensatoio unanimemente ritenuto più che autorevole negli Usa, tanto che le sue proiezioni sulla sostenibilità e le dinamiche del deficit federale sono spesso più accreditate e citate di quelle del Tesoro o del Census Bereau.

Certo, ora Douglas Holtz-Eakin parla a nome del gruppo repubblicano American Action Forum ma le cifre sono chiare e abbastanza incontrovertibili, così come confermano le critiche al riguardo della stessa democratica e Speaker della Camera, Nancy Pelosi, che ha deriso il piano della Ocasio-Cortez definendolo “un sogno verde”. Quando difendi gli interessi delle vecchie lobby, Difesa e petrolio, a volte occorre attaccare anche i compagni di partito. Anzi, è una strategia che funziona a meraviglia, Hollywood conferma. Siamo di fronte al prodromo di un’enorme macchina da deficit in grado di costare alle casse pubbliche una cifra compresa fra 51 e 93 triliardi di dollari nei prossimi dieci anni, casualmente proprio i più delicati per il varco del Rubicone della deriva “giapponese” (o “italiana”) della strutturalità del debito statunitense sul Pil. L’enorme, spendibilissima, mediaticissima e politicamente corretta scusa della lotta ai cambiamenti climatici come alibi perfetto per una monetizzazione continua a costante del deficit strutturale.



D’altronde, di fronte a inverni sempre più freddi (a Milano ci sono 20 gradi e siamo a fine febbraio) come quelli che ci hanno mostrato nel Mid-West statunitense a inizio del mese, estati torride (vedi la moria di animali in Australia, finita in tutti i telegiornali globali e sui social network), fenomeni meteorologici sempre più estremi come ghiacciai che si sciolgono, immagini di foche che muoiono di fame e altre tragedie ambientali strappalacrime, chi potrà opporre le ragioni di un minimo di raziocinio economico sui conti? E poi, avete idea quante meravigliose opzioni in ambito energetico – e di sussidi alla ricerca in quel campo – garantirà un piano decennale tutto votato all’ambientalismo come quello della Ocasio-Cortez?

Se poi va male, c’è l’alternativa del ritorno al passato: nel frattempo, per qualche anno, sono circolati triliardi a pioggia. E si è calciata la lattina lungo il viale ancora un po’. Il petrolio non doveva finire, stando agli allarmismi interessati di qualcuno? E il gas? Avete avuto per caso difficoltà a scaldarvi questo inverno? Ad accendere i fornelli per cucinare? A fare benzina o diesel all’automobile? Il petrolio costa tantissimo, perché scarseggia? No, è in area 50-55 dollari al barile. Vi pare un caso che Wall Street abbia già messa Alexandria Ocasio-Cortze nel mirino del suo braccio armato mediatico – le tv e giornali controllati dalle corporations Usa – come testa d’ariete del cambiamento politico prossimo venturo e l‘Economist abbia dedicato la sua penultima copertina ai “millennials socialisti” americani, di cui la deputata e figlia di immigrati portoricani è di fatto la portabandiera e la capopopolo?

E il “rosso” e ambientalista Bernie Sanders che annuncia la sua candidatura nel 2020, vi pare una coincidenza, avendo ormai un’età che gli dovrebbe consigliare passeggiate a passo moderato nel parco? E il boom politico dei Verdi nella Germania in cerca d’autore del post-era Merkel, la cui economia è andata in crisi per il comparto automobilistico, visto che l’industria tedesca è molto in ritardo rispetto alle concorrenti sulla riconversione totale all’ibrido e non certo per dei dazi che finora sono stati solo minacciati ma non implementati, vi pare anch’esso un caso? Di colpo, siamo tutti ambientalisti, tutti disperati nella tutela di coccinelle e organismi monocellulari del Borneo. Ma, soprattutto, vi pare un caso che, con strategia di lenta penetrazione nell’immaginario collettivo, la giovane studentessa svedese Greta Thunberg sia divenuta un simbolo globale della lotta per l’ambiente, tanto da venire citata ovunque e da chiunque come esempio di impegno politico per il futuro, non più tardi dell’altro giorno anche dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, parlando agli studenti di un ateneo italiano? Com’è possibile che la protesta solitaria del venerdì di una giovane attivista contro i cambiamenti climatici, roba da discorso allo Speakers’ Corner di Hyde Park, sia divenuta in pochi mesi un fenomeno politico di portata globale, tanto da consentirle lo scorso 21 febbraio di andare di fronte al Parlamento europeo – in prossimità del voto per il suo rinnovo, guarda caso – a prendere a pallate in faccia la Commissione Ue, rispetto ai pochi investimenti per il contrasto e la riduzione delle emissioni di Co2?

Signori sveglia, mentre gli altri ancora non hanno capito che la recessione in arrivo è stata “fatta in casa”, esattamente come la pasta fresca nei giorni di festa, noi è il caso che ci svegliamo e andiamo oltre, analizzando quella che sarà l’evoluzione del grande processo di statalizzazione del mondo: arrivare all’helicopter money, al Qe perenne e strutturale, alla distruzione del concetto stesso di libero mercato. Al debito come unico Dio da venerare. Sveglia, perché il futuro è già oggi. E la grande dissimulazione 2.0 è già in atto, mentre si spaccia per attualità quella che in realtà è già storia. Con la “s” rigorosamente minuscola, visti i protagonisti.

(2- fine)