“Il Ftse Mib? Tutto bene, anzi malissimo”. Per Alessandro Magagnoli, analista tecnico e cofondatore di Financial Trend Analysis (Ftaonline), si potrebbe riassumere così la situazione di Piazza Affari. I mercati azionari hanno sì avuto quello che volevano, una Bce pronta a fare tutto il possibile perché il rallentamento dell’economia non si trasformi in recessione, ma dopo una prima reazione positiva alle novità comunicate giovedì dalla Banca centrale europea, “gli operatori hanno avuto modo di ragionare a freddo sulla situazione, e si sono resi conto che se la medicina prescritta è così potente, allora la malattia deve essere altrettanto grave”.



Perché? Cosa ha detto, in fondo, la Bce?

Sono state prospettate, a partire da settembre 2019 fino a marzo 2021, operazioni trimestrali di Tltro 3 di durata biennale, con l’ultimo rimborso previsto a marzo 2023, al tasso di rifinanziamento principale della Bce, cioè non è detto che rimanga sui livelli attuali per tutta la durata del programma.



Non è l’unica misura accomodante annunciata dalla Banca centrale…

E’ vero. La Bce proseguirà con il re-investimento dei bond in scadenza per un periodo esteso di tempo oltre al momento in cui inizierà ad alzare il tasso di riferimento, il che non accadrà quest’anno. Viene, quindi, spostato in avanti, in data da definirsi, un effettivo drenaggio della liquidità in circolazione. Dunque, i tassi rimarranno, come speravano i mercati, sui livelli attuali almeno fino alla fine del 2019.

Una Bce di manica larga, no?

Sì, decisamente, anche se non ha indicato i soggetti che potranno avvalersi del Tltro3, deludendo così il comparto dell’auto, perché in molti speravano che anche le finanziarie delle società automobilistiche potessero accedere a queste facilitazioni.



Le Borse hanno reagito male. Come mai?

La Bce ha rivisto al ribasso le previsioni di crescita e di inflazione per il triennio 2019-2021 a causa del rallentamento economico dell’area euro, più grave e profondo di quanto ipotizzato in precedenza. La crescita della zona euro è stata rivista all’1,1% dall’1,7%, un taglio del 35% circa, per il 2019, all’1,6% dall’1,7% nel 2020 e all’1,5%, stabile rispetto alla stima precedente, nel 2021. Questo fatto che già nel 2021 le stime attuali siano inferiori a quelle dl 2019 ha sicuramente contribuito a destabilizzare i mercati. E la crescita dei prezzi resta lontanissima dal valore desiderato del 2%, per raggiungere il quale la Bce ha aperto i cordoni della borsa negli ultimi anni, senza raggiungere evidentemente il risultato.

Colpa di Draghi?

No. Le ragioni del rallentamento di crescita e inflazione sono da ricercare nel contesto internazionale, nelle tensioni commerciali globali che hanno condizionato pesantemente la produzione industriale e l’export.

Piazza Affari ne ha risentito?

Sotto 20.700 il Ftse Mib ha violato la mediana del canale crescente disegnato dai minimi di fine dicembre 2018, linea sulla quale si era appoggiato nelle ultime tre settimane trovando sempre il modo di rimbalzare verso l’alto dopo un contatto. La mediana non è in realtà lontanissima, basterebbe una chiusura di seduta oltre area 20.700/20.720 per segnalare, se non un ritorno di fiducia, almeno una situazione di neutralità. La discesa sotto 20.600 potrebbe ora far temere il proseguimento del ribasso verso la base del canale, supporto critico anche di medio periodo, a 20.125 circa. Per tornare a guardare con fiducia al rialzo l’indice dovrebbe superare area 20.870. In quel caso un test del lato alto del canale crescente, a 21.200 circa, dove si trova anche il 38,2% di ritracciamento (Fibonacci) del ribasso dal top di maggio 2018, diventerebbe possibile.

Oltre al Ftse Mib, c’è qualche altro indice il cui quadro si è complicato?

L’S&P 500, per esempio. L’indice ha toccato con i massimi del 25 febbraio a 2.813,49 e con quelli del 4 marzo a 2.816,88 esattamente il 78,6% di ritracciamento del ribasso dal top di settembre 2018. I prezzi sono arrivati su questa importante resistenza – l’ultimo gradino della scala di Fibonacci prima del 100%, quindi del ritorno sull’origine del movimento, il top di settembre a 2.940,91 punti – con l’Rsi a 14 sedute sulla soglia dell’ipercomprato, una situazione che si crea quando una tendenza “esagera” con la sua estensione e durata rispetto a quello che il mercato può digerire.

Una situazione demoralizzante…

In effetti, il ribasso dal top di settembre si è sviluppato in 3 segmenti, dopo il prolungato rialzo terminato in vista dei 2.950 punti, ed è quindi un movimento correttivo, terminato a fine dicembre. Il rialzo dai minimi di fine dicembre potrebbe essere contato anch’esso in tre segmenti (A, B, C) e potrebbe dunque essere l’onda |B| della correzione iniziata lo scorso settembre. Se questa ipotesi si rivelasse corretta, e finché i prezzi staranno sotto area 2.820 resterà credibile, mancherebbe all’appello una |C| ribassista, proporzionale alla |A|, per completare il movimento correttivo iniziato lo scorso anno. In caso di equality con |A|, l’onda |C| avrebbe un target a 2.300 punti circa. Tutto questo movimento potrebbe poi rivelarsi a posteriori solo l’onda A, il primo segmento, di una correzione ancora più complessa. Un’ipotesi non così tanto fantasiosa, visto che ci sono da correggere 10 anni di rialzo. Ma questa e’ un’altra storia.

Possibili alternative?

Il rialzo dai minimi di fine dicembre si può contare in 5 onde, anche se forse un po’ forzatamente, quindi, anche nell’ipotesi che area 2.820 non venisse subito superata, pur sempre in situazione di ipercomprato, si andrebbe incontro a una correzione parziale del rialzo visto dai minimi di dicembre, che in ogni caso ha avuto una durata ed estensione fuori dal comune e che quindi, prima o poi, dovrà essere corretto, con successiva ripresa dell’uptrend. In questa ipotesi, alla rottura dei 2.820 punti farebbe probabilmente seguito anche il raggiungimento di nuovi massimi, al di sopra del top di settembre a 2.940,91.

Il rialzo delle ultime settimane è stato forse frutto del mutato atteggiamento della Fed, molto più morbido rispetto agli ultimi mesi del 2018, e alla prospettiva di un accordo tra Usa e Cina sul fronte dei dazi?
Ora che l’accordo sembra ormai alle porte, è difficile dire quanto il mercato lo abbia già scontato nelle quotazioni attuali.

Siamo in una situazione “buy the rumors and sell the fact” oppure il mercato, alla firma, andrà subito a toccare nuovi massimi?

Diciamo così: sullo sfondo rimane una situazione dell’economia europea, non solo italiana, e di quella cinese in deciso rallentamento, mentre l’economia Usa sembra aver raggiunto il punto massimo della sua espansione per questo ciclo economico, in virtù della riforma fiscale voluta da Trump, e la Fed, pur avendo deposto l’ascia di guerra, non ha rinunciato all’idea di mettere comunque mano ai tassi d’interesse, alzandoli, almeno una volta, se non due, nella seconda metà del 2019. Certo, è molto ottimistico pensare che la Borsa Usa, e a cascata tutte le altre Borse mondiali, vadano già nel breve-medio periodo a toccare nuovi massimi rispetto a quelli dello scorso anno, che per molti indici sono i massimi storici.

Che cosa dobbiamo aspettarci, allora?

Prudentemente, fino a che area 2.820 di S&P500, ma anche area 2.950, non saranno alle spalle, quelli raggiunti sembrano più livelli per alleggerire posizioni al rialzo esistenti e magari per imbastire operazioni al ribasso.

(Marco Biscella)