La solita verità viene fuori, ogni tanto. Proprio come ogni verità, prima o poi viene a galla. E così è capitato che pure al ministro Tria sia scappato di “confessare” il ricatto sottinteso dall’Europa al governo Letta, a cui venne consigliato di approvare la legge sul bail-in, cioè la regola per cui una banca a rischio fallimento il salvataggio avviene col denaro dei depositanti. In particolare, nell’audizione davanti alla commissione finanze del Senato, Tria ha affermato che l’allora ministro Saccomanni venne ricattato dal ministro delle finanze tedesco Schauble. Il tentativo di correggere quelle affermazioni fatto in seguito è privo di ogni credibilità, soprattutto perché questo è solo l’ultimo (per quello che sappiamo) di una lista di ricatti piuttosto nutrita.
Pure al ministro Padoan è toccato il ricatto; lo racconta Varoufakis in un suo libro: “Da quando era stato nominato ministro delle Finanze, Wolfgang Schauble si era impegnato ad aggredirlo in ogni possibile occasione, specie all’Eurogruppo”. E parliamo di Padoan, uno che più allineato all’Ue di così non si può.
Lo stesso accadde anche l’ex ministro Andrea Orlando, parlò di ricatto subito dall’Italia da parte della Bce (cioè da Draghi) e dell’Ue: dovevamo mettere in Costituzione l’obbligo di pareggio di bilancio, altrimenti la Bce ci avrebbe fatto mancare i soldi per gli stipendi pubblici. Lo stesso ministro Saccomanni, ex di Bankitalia e fedelissimo di Draghi, ha ammesso il ricatto che ha subito dai tedeschi: “Visco lo ha accusato sul Corriere di essersi fatto fregare dai tedeschi, accettando pure di anticiparne l’entrata in vigore al 2016. Schauble disse che altrimenti i mercati ci avrebbero puniti”.
Ma la lista dei ricatti si può fari risalire almeno al tempo dell’ultimo governo Berlusconi e delle sue dimissioni, con l’arrivo di Monti. Quel ricatto lo ha confessato il senatore leghista Garavaglia: “Gli ispettori della Bce ci chiesero se avremmo votato il governo Monti… e ci dissero che se non l’avremmo votato allora loro avrebbero smesso di comprare i titoli di Stato e in due mesi l’Italia sarebbe fallita”.
In questo quadro vanno collocate le “riflessioni” attuali di tanti esponenti tedeschi perché le loro “riflessioni” sono semplicemente ragionamenti su come ricattarci più efficacemente. Come si capisce dalle “riflessioni” di Clemens Fuest, capo dell’Ifo: “Se succede qualcosa, se l’Italia avesse delle difficoltà a rifinanziare il suo debito” e il governo fallisse nelle riforme “ci sarà una qualche maniera di andare avanti… una forma di sostegno dall’Ue… probabilmente anche un cambiamento del governo italiano”. Vi immaginate i titoli dei giornali, se mai un esponente di spicco italiano dicesse una cosa del genere sul governo tedesco o francese?
E pure interessanti le riflessioni di David Landau, capo economista di Deutsche Bank: “L’Italia deve decidere se riformare a fondo e repentinamente lo Stato… o lasciare l’Eurozona…”. Anche l’influentissimo Hans Werner Sinn ci suggerisce di uscire e ci spiega che in caso contrario l’Italia dovrebbe accettare un calo del reddito del 12% e una disoccupazione del 15-20%.
La cosa davvero sconcertante è la menzogna sottesa a tutti questi ricatti. Si, perché, come gli esperti sanno bene e come il colosso JPMorgan ha certificato in un suo report, in caso di uscita dall’euro sarebbe l’Italia a stare meglio e i tedeschi a soffrire: infatti con la svalutazione della nuova moneta nazionale le esportazioni correrebbero mentre le importazioni di prodotti troppo cari (a causa del cambio) sarebbero sostituite da prodotti italiani e finalmente potrebbe riprendere il mercato interno.
L’altra strada invece, quella che stiamo seguendo, è destinata al fallimento. La Germania non vuole il piano Savona, non vuole essere la locomotiva d’Europa, non vuole politiche di investimento a deficit, nemmeno se queste sono ormai indispensabili e stanno relegando la Germania a Paese sempre meno capace di sviluppo. Niente investimenti, anche se le infrastrutture cadono a pezzi. Continuano a incamerare attivi di bilancio, ma senza alcuna prospettiva di sviluppo nazionale (e gli imprenditori tedeschi lo hanno capito e fanno investimenti finanziari all’estero).
Così non può finire bene, rimane solo la possibilità di ritardare il disastro con massicce iniezioni di liquidità da parte delle Bce. E indovinate cos’ha appena deciso Draghi? Niente aumento dei tassi (ma non andava tutto bene?) e nuove iniezioni di liquidità per le banche a costi vantaggiosi per altri due anni. Con questa mossa arriva addirittura a ipotecare le mosse del prossimo governatore della Bce, dato che lui è in scadenza.
E come hanno reagito i mercati? Malino, direi. Com’è ovvio. Tutti hanno preso questa iniziativa della Bce come un’ammissione della crisi che non passa. Lo spread sui titoli è calato, ma sono calati pure gli indici bancari perché lo spread è proprio quello, il guadagno delle banche. Si tratta di una situazione grottesca, nella quale l’euro ha esaltato il “vita mea mors tua”, cioè il fatto che se a qualcuno va bene, allora a qualcun altro andrà male. Per questo finirà male. Ma per tutti.