Se l’accordo commerciale tra Stati Uniti e Cina appare ancora in stallo, l’economia cinese ha dato vita a un vero e proprio arrocco in chiave tattica. Il dato sulle esportazioni ha registrato una significativa flessione a febbraio di oltre venti punti (-20,7%) rispetto all’anno precedente. Una diminuzione che riporta indietro a tre anni fa. Analizzando inoltre le voci relative all’export per singolo Paese, si evidenzia il ripiegamento dei valori relativi agli Usa: -14,1% nel bimestre. Da ricordare come il Paese a stelle e strisce rappresenti il principale partner commerciale dello Stato dell’Asia orientale.
Una Cina messa all’angolo non solo in un ring che la vede combattere contro il leader statunitense Trump in un’estenuante trattativa, bensì una Cina all’angolo in una vera e propria scacchiera con un’unica casella libera al suo fianco.
L’attuale situazione era scontata e, per via della tradizionale filosofia orientata allo studio della strategia, il premier cinese Li Keqiang aveva già palesato il tutto al proprio popolo durante l’apertura del congresso nazionale del partito: «Quest’anno il nostro Paese nel suo sviluppo si è trovato a dover fronteggiare un ambiente più difficile e complesso – ha detto il primo ministro – siamo alle prese con maggiori rischi e sfide sia attesi che inattesi e dobbiamo essere pienamente preparati per una lunga battaglia». Una vera e propria battaglia lunga, assai lunga, poiché le stime di crescita per il 2019 sono scese: il Pil è atteso tra il 6% e il 6,5% rispetto all’anno appena trascorso dove ha fatto registrare un +6,6% (livello più basso in 28 anni). Qualora si registrasse la variazione percentuale più bassa nell’indicata forchetta, assisteremmo a un nuovo minimo dal 1990. Le difficoltà economiche cinesi si riflettono inoltre (e inevitabilmente) anche sul fronte militare: il budget previsto aumenterà solamente del 7,5% nel 2019 rispetto all’8,1% del 2018.
Da ricordare come la recente diffusione dei dati sugli indici Pmi aveva già “certificato” questo stato di debolezza: il Pmi manifatturiero è sceso a 49,2 ovvero a livelli minimi degli ultimi tre anni, rappresentando uno stato di contrazione (poiché inferiore a 50), mentre l’indice riconducibile ai servizi ha raggiunto quota 51,1 dai precedenti 53,6 punti di gennaio.
Uno Stato cinese in chiara difficoltà ancor più accentuata perché visibile agli occhi di tutti: infatti, Jerome Powell, governatore della Federal Reserve, nella sua recente testimonianza alla commissione Bancaria al Senato, aveva già sottolineato come tra i fattori di rischio per l’economia statunitense ci fosse il rallentamento dell’Europa e della stessa Cina.
Scacchisticamente si tratta di un vero e proprio vantaggio posizionale a favore degli Usa e tutto questo rende la sfida ancor più affascinante. Se inoltre, al di là del tavolo, è presente un giocatore esperto (e imprevedibile) come Donald Trump, il risultato della partita potrebbe apparire scontato, salvo errori dovuti alla fretta.
Ora il tratto è nella mani del leader della Casa Bianca: muoverà per dichiarare scacco alla Cina oppure sceglierà di catturare altri pezzi in dote all’avversario? Nel corso delle prossime settimane la partita si evolverà e – con molta probabilità – qualcuno dei giocatori sarà ancora più forte rispetto a ora. In questa sfida lo stallo non è previsto: un solo contendente vincerà. Almeno la prima partita.