L’adesione dell’Italia, primo Paese del G7 in procinto di farlo, alla nuova Via della seta, che potrebbe formalizzarsi a fine marzo in occasione della visita del presidente cinese Xi Jinping a Roma, preoccupa non solo gli Usa, ma anche l’Europa. Per la Ue, infatti, la Cina è “un avversario sistemico che ha modelli di governance diversi” da quelli accettati in sede internazionale e proprio per questo è importante che l’Europa unita difenda “i propri princìpi e valori”, adottando politiche e accordi più stringenti con Pechino “per rafforzare le proprie politiche” e difendere “la propria base industriale”. Il governo Conte, pur attraversato dai contrasti tra il M5s che spinge per la firma e la Lega che manifesta più di una perplessità, intende firmare comunque l’accordo. Per Mario Baldassarri, presidente del centro studi EconomiaReale, “il tema ‘Via della Seta sì-Via della Seta no’ è mal posto, perché la Via della seta è il punto finale di un’analisi strategica che richiederebbe una classe dirigente occidentale forse un po’ meno miope dell’attuale”.
Intanto, dopo i timori manifestati dagli Stati Uniti, è arrivato anche il richiamo dell’Unione europea all’Italia. Sono entrambi fondati? C’è davvero il rischio che la Cina pretenda dall’Italia una sorta di convergenza geopolitica per poter fare affari con Pechino?
Occorre fare una doverosa premessa. L’Italia dal punto di vista geografico e storico è la piattaforma naturale nel Mediterraneo per fare da base strategica per l’intera Europa dei grandi flussi che arrivano, e arriveranno, dall’Oriente, che entreranno nel Mediterraneo e si diffonderanno nel resto dell’Europa continentale. Questo è il punto di partenza, che a sua volta meriterebbe un’ulteriore premessa.
Quale?
Questo fenomeno, l’irrompere dell’Asia con in testa la Cina nel XXI secolo, perché di questo stiamo parlando, va governato.
Come?
Su questi grandi temi occorre una governance mondiale.
Che in questo momento non c’è?
Assolutamente non c’è. Per due ragioni. La prima è che l’Occidente, Stati Uniti ed Europa insieme, continuano a fare la sceneggiata del G7, sorpassata dalla storia e dalla realtà, perché il G7 ormai rappresenta un terzo del Pil mondiale e il 20% della popolazione mondiale e non può pretendere di prendere decisioni per i restanti due terzi del mondo.
Quindi?
Occorrerebbe un nuovo G8, che è urgentissimo, perché i grandi fenomeni vanno avanti, ma senza essere governati. Ovviamente il nuovo G8 deve rispettare i pesi economici attuali. Il primo posto va alla Cina, che ha sorpassato l’anno scorso gli Stati Uniti; poi, appunto, gli Usa, l’India, il Giappone, la Russia. A quel punto per avere davvero un governo mondiale occorrerebbe inserire, al sesto e settimo posto, qualcuno che possa rappresentare l’America Latina e qualcuno l’Africa.
E l’Europa?
Nel G8, urgentissimo, l’Europa ha un posto solo, che andrebbe affidato agli Stati Uniti d’Europa, all’entità politica, non alla sommatoria di 27 staterelli.
Con una Ue divisa su tutto, non è un traguardo un po’ difficile da raggiungere, oltretutto in tempi brevi?
Non è un traguardo, è una mera utopia, ma un’utopia urgentissima cui dovremmo metter mano domani mattina, se si capisce qual è la vera posta in gioco. L’alternativa è che l’Europa è destinata a scomparire in questo nuovo mondo. Neanche la potente Germania ce la può fare da sola. E questo è il primo elemento da considerare.
E il secondo?
E’ un elemento che appesantisce ancor di più l’orizzonte: l’amministrazione Trump ha palesemente abbandonato il multilateralismo e si affida al bilateralismo, come abbiamo visto più volte. Pensa cioè di fare come gli Orazi e i Curiazi.
In che senso?
Una volta vuole infilzare la Cina, un’altra volta infilza la Corea del Nord; poi fa il patto con la Corea del Nord e poi cerca l’accordo con la Cina sui dazi commerciali. Una volta infilza il Nafta, poi rifà l’accordo con il Messico. E una volta infilza l’Europa, vedi il caso dell’automotive per colpire la Germania, poi magari andrà a firmare un nuovo accordo. Il bipolarismo inteso in questi termini non porta da nessuna parte, se non alla sconfitta dell’Occidente nel XXI secolo e al prevalere dell’Asia.
In questo quadro qual è il vero rischio?
Che la Cina faccia per conto suo. Ecco perché realizza da sola la Nuova Via della seta, utilizzando la stessa arma degli Usa, cioè il bilateralismo. La Cina preferirebbe un accordo con l’intera Ue, ma siccome l’Unione europea non c’è, allora cerca accordi con i singoli Paesi. Essendo intelligenti e avendo alle spalle una cultura millenaria, i cinesi capiscono che l’Italia – e qui torniamo alla casella zero del mio gioco dell’oca – è geograficamente e storicamente la piattaforma naturale nel Mediterraneo per entrare in Europa. Solo che questo tema andrebbe gestito dall’Europa e dall’Occidente e concordato con la Cina tutti insieme, nel governo mondiale dell’economia a cui accennavo prima, ma purtroppo oggi gli Stati Uniti vanno per conto loro, l’Europa non c’è. E poi proprio Usa e Ue vanno a dire all’Italia: attenzione, attenzione, arrivano i cinesi! Francamente mi sembra una doppia ipocrisia.
Non vede in questo possibile accordo con la Cina uno spostamento dell’asse della politica estera italiana da Occidente a Oriente?
No, non è questo il problema. E’ ovvio che l’Italia è in Occidente, è nella Nato, è in Europa. Il problema è: ma c’è l’Occidente? C’è l’Europa? Siamo di fronte a una miopia totale, priva di strategia, degli Usa e della Ue messi insieme. L’Occidente si sta suicidando.
C’è chi dice che questo patto sulla Via della seta metterebbe a repentaglio alcuni asset di sviluppo strategici: grandi infrastrutture, logistica, porti, reti di telecomunicazione. Che ne pensa?
Questo rischio si è corso quando i greci hanno venduto il porto del Pireo ai cinesi o quando gli spagnoli hanno venduto il porto di Barcellona ai cinesi? Se Genova e Trieste possono essere competitive come terminali della Via della Seta, perché non si dovrebbe fare? Torniamo al solito punto: per l’assenza di una strategia europea e per la noncuranza totale di Trump è l’Occidente che sta consentendo alla Cina di seguire la strategia degli Orazi e Curiazi.
Vista l’assenza dell’Europa e la noncuranza dell’amministrazione Usa, in questo rapporto con la Cina l’Italia che ruolo può e deve giocare?
L’Italia deve agire con la massima cautela, distinguendo ad esempio le infrastrutture materiali, come porti, aeroporti e grandi vie di comunicazione, da quelle immateriali, come la rete 5G, che è un tema molto rischioso e molto delicato in termini di controllo e di sicurezza del Paese e dell’Europa. La posta in gioco più pesante è proprio sugli sviluppi tecnologici e sull’intelligenza artificiale, non solo sui porti e sulle gru.
Che cautele bisognerebbe assumere?
Anche in questo campo servirebbe un’azione europea, non nazionale. Questi temi non possono più essere affrontati a livello di 27 piccoli Paesi. Anche perché basta che uno solo di questi 27 dica “sì” ed è l’Europa intera a essere messa in scacco. Insomma, il tema “Via della seta sì-Via della seta no” secondo me è mal posto. La Via della seta è il punto finale di un’analisi strategica che richiederebbe una classe dirigente occidentale forse un po’ meno miope dell’attuale.
Lei è quindi d’accordo con chi dice che la Via della Seta è una grande opportunità economica e commerciale, perché la Cina oggi è l’unico Paese che investe, che aiuta a creare sviluppo. Ma non c’è il rischio di essere colonizzati, come sta accadendo in molti Paesi africani?
E infatti in Africa già si registrano delle forti reazioni anti-cinesi. Ci sarebbe anche qui una grande opportunità per l’Europa, che oggi sarebbe molto ben accolta in Africa proprio come argine all’invasione cinese. Ma – ancora una volta – c’è l’Europa? L’assenza di un’identità europea non vale solo all’interno della Ue, ma anche nell’equilibrio mondiale tra i vari continenti. L’America da sola non ce la fa con il suo bilateralismo. E se, da un lato, non possiamo bloccare Cina e India, che da sole fanno 2,5 miliardi di persone, e dall’altro lato non possiamo farci colonizzare, l’unica risposta possibile che l’Occidente già doveva, e ancor più adesso dovrebbe, dare è quella di porre al centro dell’attenzione il nuovo governo del mondo, proponendo un nuovo G8. Basta girarci i pollici con il vecchio G7 o fare le riunioni condominiali con il G20…
(Marco Biscella)