Il primo ministro irlandese, Leo Varadkar, ha recentemente dichiarato: “La Brexit sta minando gli storici accordi del Venerdì Santo” del 1998 che portarono la pace in Irlanda del Nord dopo tre decenni di guerra civile. Secondo Varadkar, l’intero processo verso il divorzio fra Londra e l’Unione europea “sta creando forte divisione fra Irlanda e Regno Unito”. E ha aggiunto: “Qualsiasi cosa crei uno strappo fra le due comunità (cattolici e protestanti) in Irlanda del Nord mina gli accordi e quel rapporto”. Le due parti si sono più volte dette ottimiste sul raggiungimento di un’intesa che tuteli la frontiera aperta fra l’Ulster e la Repubblica d’Irlanda, come sancito dagli accordi di pace, e l’integrità del Regno Unito allo stesso tempo: compromesso che finora non ha avuto alcun esito.



A queste dichiarazioni pensavo mentre assistevo al dibattito parlamentare terminato di nuovo con un voto contrario agli sforzi di Theresa May. Pensavo alla pervicacia dell’Ue di richiedere una modificazione di quegli accordi per firmare i quali scorse molto sangue e che ancor oggi sono in perenne pericolo: il 22% delle spese dell’M15 del Regno Unito, ossia dei loro servizi di sicurezza nazionali, è destinato al controllo e al presidio armato di quel confine che ora si vorrebbe ripristinare non secondo i dettati irlandesi, ma secondo quelli di una Ue separata dalla realtà e dalla storia. Dimenticando che il diritto internazionale si fonda sull’assunto che tra gli stati nazionali esista uno spazio giuridico che consente di realizzare una rete di regole che fondano i trattati e consegnano alla storia il destino delle nazioni non più singolarmente, ma come insieme degli stati nazionali che quelle regole scrivono e quei trattati firmano.



Ecco che cos’è l’Unione europea: uno spazio giuridico fondato non solo su trattati commerciali (ricordate il Mercato europeo comune?, era il 1957), ma anche sulla rinuncia che un gruppo sempre più rilevante di nazioni compirono rispetto alla loro sovranità monetaria. Ecco l’apparizione dell’euro che riempie lo spazio giuridico europeo con un sistema di cambi fissi tra le nazioni che firmano un trattato a ciò dedicato e si riconoscono in un destino molto più impegnativo e solidale: la moneta unica prima che si fondi uno Stato unico europeo. Infatti, l Europa non ha una Costituzione, come saggiamente Alessandro Mangia ha ricordato su questo spazio di libertà che è Il Sussidiario.



Tutti sappiamo che la spinta alla moneta unica venne dal crollo dell’Urss e dall’unificazione tedesca che sconvolgeva i rapporti di potenza tra le nazioni e impensieriva in primo luogo la Francia, storico avversario della Germania sin dalla fondazione di quest’ultima nel 1870. Il Regno Unito – storico avversario tanto della Germania quanto della Franca(anche se in minor misura) – a‎ quel trattato non aderì, conservando la sterlina ma tuttavia condividendo l’architettura politica dell’Europa dell’euro.

Il Regno Unito è ora in una crisi politica senza precedenti e in ogni caso lascerà l’Europa inaugurando una nuova stagione nelle relazioni internazionali mondiali per il peso relativo degli attori in gioco rispetto a tutto il mondo. Ma quali possono essere le conseguenze di una Brexit a cui si giungerà in questo modo? Ossia con una lacerazione senza precedenti tra le maggiori potenze europee: la Francia e la Germania, seguite dai loro vassali (l’Italia dovrebbe proporre una linea alternativa a quella dominante, ma invece divisa com’è perde sempre più peso internazionale)?

Quale che sia e sarà l’accordo a cui si giungerà decadrebbero tutti i trattati di libero commercio antecedenti all’euro e si ritornerebbe a una situazione di tariffe e di scontri commerciali. Il Regno Unito del resto non aveva già aderito al Mec nel 1957 perché fondò la cosiddetta Efta,‎ ossia un’area di libero scambio che comprendeva, oltre agli stati del Commonwealth, gli stati scandinavi e il Portogallo. È probabile che nel caso di Brexit si determini la stessa condizione ricostituendo uno spazio giuridico-commerciale a fianco di quello europeo interamente nuovo. Bisognerebbe riscrivere tutte le regole delle relazioni commerciali con conseguenze negative sino alla loro riscrittura tanto per chi rimane nell’Ue, quanto per chi la lascia.

È difficile dire chi guadagnerebbe e chi perderebbe da una tale nuova architettura, ma certamente il mondo globale delle esportazioni sarebbe fortemente influenzato dal previsto abbassamento del valore della sterlina che consentirebbe di veder aumentare le esportazioni manifatturiere inglesi mentre aumenterebbero i costi delle importazioni nel Regno Unito, con danni rilevanti soprattutto oggi che il petrolio e il gas del Mare del nord vanno lentamente esaurendosi. Il costo in bolletta aumenterebbe, così come il costo degli alimentari viste le condizioni climatiche inglesi, ma le conseguenze più rilevanti sarebbero quelle sul sistema finanziario, perché le banche e le attività finanziarie inglesi si troverebbero ad agire in uno spazio giuridico interamente nuovo rispetto al lavoro in Europa dove si realizzano transazioni imponenti e dove tuttavia già da tempo molte banche e finanziarie anglosassoni mal sopportavano e sopportano l’ossessiva macro-regolazione europea che ha creato una tale rete di costrizioni che vanno ben oltre l’attività della Bce.

Tutto dipenderà dalla strategia delle imprese, ossia dallo spazio di affari che cercheranno di continuare a perseguire (se in Europa i costi saranno elevati) oppure di incrementare (e non si può non prevedere un aumento dell’attività della finanza inglese a livello asiatico e nordamericano come e del resto vocazione naturale del Regno Unito). Le conseguenze sul mercato del lavoro non saranno terribili come molti dicono. L’Europa non è più la terra del predominio dei sindacati di lavoratori su quelli dei datori di lavoro. Quella situazione è terminata da tempo e si è addirittura capovolta e vi è stato negli ultimi vent’anni in Europa un enorme trasferimento di ricchezza dal lavoro al capitale con un aumento inaudito della disuguaglianza e della povertà: peggio di così non può andare né per chi rimarrà in Europa, né per chi non vi rimarrà.

Sono certe invece le conseguenze politiche. Il peso geo-strategico tedesco aumenterà a dismisura sia sulla tecnocrazia eurocratica, sia nel sistema di potenza internazionale. Se Francia e Italia non si porranno alla testa di un movimento per controbilanciare questo processo, le conseguenze non potrebbero che essere quelle di un aumento dei rischi della deflazione indotta dall’austerità. Essenziale diverrà allora mantenere un sempre più stretto legame con gli Usa, quale che sia la situazione politica di quella grande nazione.

In ogni caso l’Ue e i suoi Commissari, ignari della storia, un risultato l’hanno già raggiunto: disgregare un sistema politico parlamentare e partitico esemplare per secoli come quello del Regno Unito. Si fermino e facciamo ponti d’ oro al Regno Unito! Se così non si farà, si rischia veramente di far risorgere la violenza in Irlanda. E l’Irlanda non appartiene né all’Ue, né al Regno Unito, ma agli irlandesi e al mondo.