E se in Europa abbiamo mezze verità spacciate come rivoluzioni e una 16enne come capopopolo, con tanto di candidatura al premio più screditato della storia contemporanea, Oltreoceano non sono messi meglio. Mi riferisco ad Alexandria Ocasio-Cortez e al suo Green New Deal, il quale in base a un sondaggio condotto dalla prestigiosissima Università di Yale vede favorevole addirittura l’80% degli elettori statunitensi. Di più, siamo di fronte a qualcosa di straordinariamente (e strategicamente) bipartisan come supporto, visto che il 92% di chi si dichiara Democratico e il 64% di Repubblicani si sono detti pronti a supportare in maniera più o meno decisa il pacchetto di riforme che trasformerà completamente il settore energetico Usa su modello “verde” nel prossimo decennio. Se il sondaggio è stato condotto da un’istituzione come l’Università di Yale, ci sarà da fidarsi.
Sicuri? Quella che leggete di seguito è la nota introduttiva, uguale per tutti, al sondaggio: Some members of Congress are proposing a “Green New Deal” for the U.S. They say that a Green New Deal will produce jobs and strengthen America’s economy by accelerating the transition from fossil fuels to clean, renewable energy. The Deal would generate 100% of the nation’s electricity from clean, renewable sources within the next 10 years; upgrade the nation’s energy grid, buildings, and transportation infrastructure; increase energy efficiency; invest in green technology research and development; and provide training for jobs in the new green economy (Alcuni membri del Congresso stanno proponendo un “Green New Deal” per gli Stati Uniti. Dicono che un “Green New Deal” produrrà posti di lavoro e rafforzerà l’economia americana attraverso l’accelerazione della transizione da carburanti fossili a fonti rinnovabili e pulite. Il Deal potrebbe generare il 100% dell’energia della nazione da fonti rinnovabili e pulite entro i prossimi 10 anni; migliorare la rete energetica nazionale, gli edifici e le infrastrutture di trasporto; aumentare l’efficenza energetica; investire in ricerca e sviluppo di tecnologia verde; garantire tirocinio e preparazione per posti di lavoro nella muova economia verde, ndr). Scusate, chiunque non sia un inquinatore per scelta o per perversione, il figlio di un petroliere o un feticista dello smog, potrebbe dirsi contrario a un presupposto simile, a una prospettiva di futuro del genere? Di fatto, non si chiede un parere sul Green New Deal, si offre una sinopsi iniziale che è un concentrato di senso di colpa e magnifiche sorti e progressive, roba da regno degli unicorni e poi si finge di voler conoscere il punto di vista dell’intervistato! Cosa dite, un paragrafo simile posto prima delle domande dirette, può configurarsi come vaghissima volontà di indirizzare il parere del rispondente?
Ma tutto questo mica finisce sui giornali o nelle iniziative parlamentari, il messaggio è soltanto quello che si ottiene dal calcolo statistico delle risposte ottenuto: l’80% degli statunitensi è favorevole al Green New Deal, all’impegno per un’energia verde e contro i cambiamenti climatici, a un nuovo approccio. Il quale, ovviamente, oltre a richiedere una decina d’anni almeno, presuppone qualche triliardo di dollari di investimento pubblico e privato in opere di riconversione. Insomma, serve spesa pubblica. Serve deficit, perché è per una buona causa. Nessuno ti fa le pulci, non esiste al mondo un Dombrovskis così cattivo e insensibile da richiamarti perché spendi in difesa dei pinguini o degli organismi monocellulari del Borneo: la strada è spianata. E, cosa più importante, la coscienza collettiva anestetizzata ed euforizzata per bene. Se poi tenti ancora di fare resistenza in nome del buon senso e della scienza, intesa come dati reali, ti piazzano davanti un bambino con la mascherina per l’asma, tipo figurante di un falso attacco chimico in Siria e il gioco è fatto: la nomea di Erode non te la leva nessuno.
Non sarebbe più onesto dire che, visto che anneghiamo nel debito (è dell’altro giorno la rottura di un nuovo record a livello globale e congiunto pubblico-privato, 178 triliardi di dollari, dati Bis) e il sistema non può più disintossicarsi a questo punto, occorre andare oltre, approssimarsi alle rive faustiane del Qe strutturale e perenne? O, quantomeno, decennale e senza la Fed che rompa l’anima, se non per dare una sgonfiata controllata agli eccessi di mercato? No, non si può. E non a caso, i paladini di questa battaglia sono giovani. Sono millennials o poco più grandi. Come la Ocasio-Cortez. Come Greta. Perché solo un giovane può venderti questa balla, senza che tu ti ponga domande e scopra quanto appena confermato proprio dalla Fed. Senza che tu scopra ciò contro cui davvero dovresti ribellarti e chiedere conto. Ovvero che proprio i millennials rappresentano, prima ancora di cominciare la propria vita lavorativa, la generazione più indebitata della storia.
Qualche numero? Ce lo offre appunto la Federal Reserve di New York e parla chiaro: la generazione under-30, solo negli Usa, già oggi annega in oltre 1 triliardo di debito, un aumento del 22% solo negli ultimi 5 anni. Ma non basta. Stando a quanto riportato da Forbes, certamente una fonte non autorevole quanto Greta, le ultime statistiche relative ai debiti scolastici per il 2019 mostrano quanto la crisi di questo comparto stia diventando con il passare del tempo, attraverso la disaggregazione demografica e di gruppi sociali, cronica e sistemica. A oggi, negli Usa ci sono più di 44 milioni di giovani che congiuntamente fanno capo a oltre 1,5 triliardi di dollari in debito studentesco, una voce che è la seconda categoria debitoria nel Paese dopo quella dei mutui immobiliari ed è maggiore di quelle relative a carte di credito e prestiti per l’acquisto di automobili, il tutto in un Paese dove le spese per consumi pesano per il 70% del Pil. Prendendo in esame il dato relativo alla classe debitoria del 2017, la media è di 28.650 dollari a persona, stando a rilevazioni dell’Institute for College Access and Success.
E non basta, perché proprio a causa di questo stato di schiavitù debitoria fin dagli anni della formazione, ecco che la conseguenza è che nel Paese dove normalmente al compimento della maggiore età si esce di casa (in prima istanza, proprio per andare al college) e si tende a comprarsene una propria, attraverso il mutuo, il tasso di proprietari di immobili nella categoria degli under 35 nell’ultimo trimestre del 2018 era al 36,5% contro il 61% del range 35-44 anni e il 70% di quello fra 45 e 54 anni. Di più, il 63% dei millennials che hanno comprato casa o acceso un mutuo per farlo, stando al sondaggio di Bankrate.com, si è pentito della propria scelta, poiché ha difficoltà nei pagamenti di rate, anche non esorbitanti. E con i tassi ancora ai minimi, rispetto alla media storica. E se il 79% di tutti i rispondenti ritiene ancora che l’essere proprietario di casa sia parte integrante del “sogno americano”, la maggior parte dei millennials definisce la scelta di aver acquistato casa “la ricetta per il disastro”.
Capite perché conviene, contemporaneamente, vendere un nemico di lunga durata e facile presa mediatica come il riscaldamento globale, una sorta di fantasma spaventoso, ma inafferrabile e farlo attraverso dei coetanei della generazione più disagiata della storia recente, quella che per la prima volta rischia davvero di stare molto peggio di quella dei propri genitori e che rischia di rimanere letteralmente schiacciata dall’ascensore sociale in caduta libera? E capite perché, in un mondo basato sul debito (e non solo negli Usa), serve un’enorme piano Marshall di spesa pubblica e deficit di lungo termine, non fosse altro per piazzare tutti i titoli di Stato necessari a rifinanziare e servire quel debito contratto, da cittadini come da aziende come da Stati, come un cane globale che continua a mordersi la coda?
Anche perché, signori, mica si possono fare guerre o inventarsi conflitti e nemici immaginari tipo la Corea del Nord o la Russia tutte le settimane, non vi pare? Et voilà, casualmente da qualche settimana il clima impazzito ha sostituito l’Isis, gli hacker russi, i missili di Kim Jong-un e tutto ciò che ci hanno venduto finora come emergenza, come nemico permanente. Casualmente proprio ora, con il rischio di recessione globale che sale e le Banche centrali che, stamperia a parte, non sanno più come uscire dall’impasse. Occorre agire ora, quasi le prossime tre settimane siano fondamentali per salvare il pianeta: sembra la pantomima del countdown perenne verso il giudizio universale del Brexit, non vi pare?
Per questo serve una generazione in piazza contro la siccità o le inondazioni, per evitare il triplice effetto. Primo, il rendersi conto di essere schiavo del debito che garantisce al sistema di sopravvivere. Secondo, smettere di foraggiare quel debito, cambiando il telefonino ogni tre mesi, comprando l’auto con il finanziamento, chiedendo prestiti per andare una settimana in ferie. Insomma, rompendo il giocattolo del consumismo da necessità. Terzo, ribellarsi davvero.
(2- fine)