Venerdì si è tenuto l’investor day di Eni a Milano a cui hanno partecipato analisti e investitori oltre a una nutrita schiera di giornalisti. Addentrarsi nei target di produzione è sicuramente interessante, ma la sensazione che vale la pena raccontare non ha nulla a che fare con i numeri. Quello che vale la pena raccontare è quanto appaia singolare e strana questa società sia agli italiani che soprattutto agli stranieri. Il peso geopolitico dell’Italia soprattutto oggi, ma anche 70 anni fa, con un Paese uscito dalla guerra da perdente e distrutto, non giustifica in nessun modo la presenza di una società come Eni che in teoria non dovrebbe esserci. Occuparsi di petrolio e gas significa entrare nel cuore di un’economia e di un’industria di un Paese e quindi anche della sua politica e del suo sviluppo.



Senza gas e petrolio, a prezzi concorrenziali, il boom economico italiano non sarebbe esistito; questo vale anche per tanti Paesi in via di sviluppo con cui Eni e l’Italia tramite essa entra in contatto. Pensiamo alla vicenda di Zohr che cambia almeno per i prossimi dieci anni le prospettive dell’Egitto, passato dall’essere in grave difficoltà per mancanza di gas, con ripercussioni pesanti sull’industria, all’indipendenza energetica e magari, domani, persino a hub dell’intera area. Su queste vicende, economiche, si intrecciano scenari politici e geopolitici molto più ampi. Essere un partner, magari collaborativo e “costruttivo”, ha un valore immenso per Paesi di solito abituati a un ruolo subalterno.



Per l’Italia tutto questo è senza prezzo. Non si tratta solo di avere i mezzi per consentire a un’intera industria di avere le stesse possibilità dei concorrenti, con prezzi per l’energia simili, si tratta anche di poter instaurare rapporti commerciali e di collaborazioni di lungo periodo. Pensate a come si devono essere sentiti quelli di Shell quando Eni ha scoperto il giacimento più grande mai scoperto nel Mediterraneo negli ultimi decenni. Non si devono essere sentiti particolarmente bene perché quella stessa area, dove oggi c’è Zohr, l’avevano esplorata anche loro con gli stessi dati che aveva in mano Eni; solo che Eni li ha saputi leggere molto meglio e poi ha deciso di rischiare un buco di molte decine di milioni di dollari in una fase in cui l’industria se la passava malissimo per via dei prezzi bassi. Solo un’enorme ingenuità ci può indurre a pensare che una scoperta di questo tipo con i suoi impatti geopolitici non rompa equilibri e disegni geopolitici consolidati e non scateni reazioni.



Vorremmo dire altre due cose. L’Italia, che come noto non ha idrocarburi, ha proprio nell’industria petrolifera una delle maggiori eccellenze; c’è un settore molto grande che passa dall’esplorazione alle costruzioni di raffinerie e impianti chimici che ha davvero pochissimi eguali, non arriviamo alle dita di due mani, a livello globale. Un settore che paga stipendi veri a ingegneri chimici, meccanici, a geologi. La stessa Milano, la capitale economica del Paese, ha nel settore petrolifero uno dei motori principali.

Non se ne parla perché la moda si vende meglio eppure è così. È un settore da proteggere e tutelare, magari evitando di farsi scippare l’Adriatico dai vicini croati. Le rinnovabili hanno un ottimo futuro, ma di certo sono molto ma molto lontane da poter rimpiazzare gli idrocarburi. Parliamo poi di rinnovabili. I soldi che occorrono per acquisire tecnologie e competenze si misurano in miliardi di euro soprattutto se si vogliono posizioni di leadership e questi soldi oggi in Italia le hanno solo società come Eni e quelle del suo settore. Solo loro, con i soldi fatti nei settori tradizionali, hanno la capacità di fuoco e le competenze per spendere i tanti soldi che servono in questo settore. È già così e sarebbe il caso che continuasse evitando inutili suicidi di cui gli unici che godono sono i nostri concorrenti.