Sulla flat tax si è acceso un nuovo duello tra Salvini e Di Maio. A rilanciare il tema è la proposta leghista di applicare fino ai 50mila euro di reddito familiare il 15% di aliquota fissa con deduzioni inversamente proporzionali al reddito.“La flat tax c’è nel Contratto di governo. Spero non ci siano resistenze da parte di nessuno”, ha sottolineato il ministro dell’Interno, che ha anche criticato un’ipotesi di simulazione fatta dal ministero dell’Economia.“Sono stati detti numeri strampalati, 50-60 miliardi di euro, non siamo al Superenalotto. Per la prima fase bastano tra i 12 e i 15 miliardi di euro per un abbattimento fiscale a tante persone”. Non c’è “nessuna stima fatta su una riforma che né io né il Mef abbiamo mai ricevuto”, ha ribattuto il ministro dell’Economia, Giovanni Tria. E ad aggiungere benzina sul fuoco ci hanno pensato i ministri pentastellati: il vicepremier Luigi Di Maio ha parlato di “no alle promesse alla Berlusconi”, mentre Barbara Lezzi, titolare del dicastero per il Sud, ha rincarato: “La flat tax costa 60 miliardi di euro e il nostro Paese non se li può permettere”. Sta di fatto che la proposta della Lega introduce esplicitamente il concetto di reddito familiare. E’ una novità positiva? Non solo da un punto di vista lessicale, ma anche economico? E’ un primo passo verso il quoziente familiare? E quanto potrebbe costare alle casse dello Stato? Lo abbiamo chiesto a Luigi Campiglio, professore di politica economica all’Università Cattolica di Milano.
La Lega ha rilanciato la proposta di una flat tax applicata ai redditi familiari fino a 50mila euro con deduzioni inversamente proporzionali al reddito. Che ne pensa?
E’ una proposta interessante, perché finora abbiamo sempre fatto una politica, fiscale e di welfare, che è stata familiare solo per scopi di riduzione della spesa, il che – sia chiaro – può essere anche ragionevole.
E con questa proposta che cosa potrebbe cambiare?
La differenza importante è che così si mette al centro il reddito familiare in modo esplicito, come grandezza economica, e ciò può implicare un aumento del reddito disponibile.
Una tale flat tax può essere un passaggio intermedio verso il quoziente familiare?
Innanzitutto, bisognerà vedere come verrà applicata nei dettagli, perché implicitamente bisogna immaginare una sorta di parziale ridisegno delle aliquote.
In che senso?
Il quoziente familiare, fondamentalmente, è un meccanismo che divide il reddito disponibile per il numero di componenti del nucleo familiare e l’imposta viene pagata a partire da un’aliquota basata su ogni singola parte. Quindi, se il nucleo familiare è più numeroso, il valore di riferimento risulta più basso. Premesso ciò, questa proposta di reddito familiare, senz’altro significativa, va accuratamente testata e secondo me ci sono i tempi per fare le necessarie valutazioni quantitative così da poter stimare un “costo” che sia il più possibile adeguato all’obiettivo che ci si propone. Di buono c’è sicuramente che la soglia dei 50mila euro riduce il rischio di potenziali diseguaglianze, che si possono verificare a livello di redditi più elevati.
Quando dice “va accuratamente testata” a quali aspetti si riferisce in particolare?
Ribadito che il vincolo dei 50mila euro va bene e che all’interno di questo universo reddituale, in linea di principio, sarà possibile che ci sia chi vedrà aumentare il proprio imponibile e chi invece lo vedrà diminuire, sarà importante capire se si dovrà introdurre una clausola di salvaguardia, comunque per definizione necessaria in una fase di transizione.
A favore di chi?
Di coloro che attraverso il meccanismo possano paradossalmente venire penalizzati. Insomma, bisogna far sì che non si trasformi in una tassa sulla famiglia.
Bisognerà anche rivisitare il sistema delle agevolazioni fiscali?
Sì, certo. Lo ripeto: il meccanismo è virtuoso, ma occorrerà verificare con la massima diligenza che una famiglia non si trovi a pagare di più rispetto al sistema precedente. Quindi una modulazione accurata è più che doverosa. Si tratta di una manovra diretta ad attuare una politica fiscale fondata su un’equità orizzontale, cioè famiglie con diverse composizioni dovranno pagare importi diversi. Questo obiettivo implica un cambiamento profondo del concetto di equità.
In concreto?
Se, da un lato, il mercato remunera gli individui, questa flat tax rimodula il meccanismo di welfare prendendo a riferimento sempre il merito individuale, ma combinato con l’equità. Cioè, bisogna fare in modo che le eventuali posizioni di perdita di reddito delle famiglie vengano adeguatamente gestite.
Sulla proposta di una flat tax per le famiglie sono state avanzate stime contrastanti: la Lega dice che bastano 12-15 miliardi, il Mef in una simulazione parla di 60 miliardi. Secondo lei, un’operazione di questo tipo quanto può essere onerosa per le casse dello Stato?
Dal punto di vista del bilancio dello Stato, gli effetti possono essere molto interessanti da valutare, ma in tal caso occorre fare simulazioni molto accurate e serie. Là dove si verificasse un maggior reddito disponibile, si potrebbe generare una capacità di spesa e di risparmio che non può che far bene all’intera economia.
Il nuovo segretario del Pd, Nicola Zingaretti, ha detto che “la flat tax è una bufala, l’Italia ha bisogno di maggiore giustizia fiscale: la progressività non si tocca”. Che ne pensa?
Noi abbiamo già un enorme meccanismo fiscale fortemente regressivo di flat tax, che si chiama imposte indirette. Il gettito tra imposte indirette e dirette è grosso modo dello stesso ordine di grandezza e chi paga proporzionalmente di più le imposte indirette? I bassi redditi, per definizione.
Per finanziare la flat tax alle famiglie si possono trovare le coperture necessarie eliminando gli 80 euro varati dal governo Renzi?
Gli 80 euro che oggi vengono dati possono anche essere eliminati, ma solo a condizione che non riducano il reddito disponibile.
A suo parere, la flat tax sui redditi familiari è “una rivoluzione epocale”, come dice Salvini, o “una promessa alla Berlusconi”, come ribatte Di Maio?
Sarebbe importante che su questioni di così grande impatto si potesse ragionare con discernimento, senza considerazioni affrettate. Io penso che possa essere un elemento positivo di cambiamento e mi auguro che per una volta si valutino in modo pragmatico, concreto, gli interessi economici delle famiglie.
I detrattori dicono che con i conti pubblici attuali non possiamo permetterci questa operazione…
Condivido, da un lato, la grande cautela che va applicata per i conti pubblici, perché siamo obiettivamente indeboliti da dieci anni di politiche economiche che hanno impoverito il Paese. Di questo va tenuto conto, anche nel senso delle priorità…
Però?
D’altro canto, questa è una misura che, se ben formulata, avrà un effetto potenziale molto robusto, sia sul volume delle imposte dirette sia per una valutazione complessiva del nostro sistema fiscale.
La maggior disponibilità di reddito potrebbe, nel tempo, trasformarsi in maggiore capacità di spesa, di consumi e di investimenti?
Il punto cruciale è che bisogna varare una manovra coraggiosa, e questa flat tax sul reddito familiare lo è, evitando però di fare passi più lunghi della gamba.
Che cosa intende?
Questa non può essere una politica temporanea, ma deve rientrare in un processo di riorganizzazione generale della situazione economica del Paese, va cioè stabilizzata come una riforma di struttura.
In che modo?
Partiamo da un dato di fatto: per la prima volta, nell’arco di molti decenni, il nostro Paese per tre anni di fila, salvo il 2018, ha avuto investimenti netti, cioè al netto degli ammortamenti, negativi. Vale a dire che il capitale fisso di questo Paese, per almeno tre anni su un arco di quattro, è diminuito. Quindi, è del tutto chiaro che una manovra molto ambiziosa come la flat tax va collocata in un quadro di crescita, in modo tale che sia accompagnata da un altro elemento decisivo: gli investimenti netti.
Professore, lei sta toccando un tasto molto sensibile. Ma sugli investimenti, sebbene le risorse siano già disponibili, per innumerevoli ragioni non vengono utilizzate e anche questo governo non sembra in grado di sbloccarle…
Se si guardano gli ultimi dati, rispetto agli altri grandi Paesi Ue gli investimenti fissi dell’Italia sono i più bassi. Il gap viaggia intorno al 3-4% del Pil. Tenendo conto che un punto di Pil vale circa 17 miliardi, rispetto alla Germania siamo indietro di almeno 50 miliardi. Se, dunque, sul piatto si cominciasse a mettere, assieme al reddito familiare, non dico 50 miliardi, ma almeno la metà, di investimenti, faremmo un balzo occupazionale e di reddito straordinario. A quel punto, il reddito che affluisce sia alle famiglie sia al settore pubblico, se canalizzato in modo equo, può contribuire alla stabilità economica delle famiglie e alla stabilità di ulteriori progetti di investimento da parte delle imprese: così l’Italia può volare. Ma il punto cruciale è che bisogna voler muovere la leva degli investimenti.
(Marco Biscella)