La crescita del Pil italiano nel primo semestre sarà attorno allo zero. Ciò crea al Governo il problema sostanziale di contrastare la stagnazione e quello formale di mostrare la capacità di tenere in equilibrio i conti pubblici nel Documento di programmazione economica e finanziaria (Def) che preannuncia la politica economica 2020, da inviare all’Ue entro aprile. La tendenza in atto implicherebbe la necessità di una manovra correttiva, cioè di una forte riduzione del deficit, ovvero tagli pesanti alla spesa pubblica o aumenti delle tasse oppure sfondamento dei limiti di indebitamento.
La terza opzione è impraticabile: il debito statale cumulato ha raggiunto la cifra record di quasi 2.380 miliardi e un ulteriore incremento aumenterebbe il “rischio Italia” percepito dai mercati, con conseguenze recessive anche qualora un’Ue rinnovata fosse più clemente sul piano dell’ordine contabile. In vista di elezioni importanti, i partiti di maggioranza non vorranno praticare la seconda opzione tagliando spese utili al consenso, anzi. E neppure, sperabilmente, vorranno aumentare le tasse. Cosa può fare, allora, il ministro dell’Economia entro questi limiti?
Nella bozza di politica economica presentata venerdì scorso al Consiglio dei ministri si nota il tentativo di “grattare” il fondo del barile recuperando in bilancio denari non impiegati, per esempio togliendoli a stanziamenti già approvati, ma stimati in eccesso, ridurre i vincoli che bloccano investimenti pubblici allo scopo di aprire in fretta cantieri, spingere di più la leva degli incentivi fiscali e di detassazione, ecc. Lo scopo è quello di ottenere una crescita positiva nel secondo semestre e un’argomentazione che regga la non necessità di una manovra restrittiva.
Da un lato, ora il Governo cerca di fare qualcosa di serio e concreto per la crescita, abbandonando la favoletta di un boom indotto dalla stimolazione della domanda di consumi via reddito di cittadinanza. Dall’altro, appare un tentativo tardivo e insufficiente perché ancora troppo condizionato dalle priorità assistenziali su quelle di sviluppo, orientamento che limita la quantità di detassazione stimolativa, indebolendo l’unica vera leva di ripresa rapida e diffusa.
Il Governo dovrebbe riequilibrare meglio le azioni di contrasto alla povertà e di dinamizzazione del mercato, scoprendo che quello italiano è così vitale da poter diventare efficace strumento non statale di riduzione della povertà stessa.