Dopo molti mesi di rumour pare che le discussioni per una fusione tra Deutsche Bank e Commerzbank abbiano fatto passi in avanti. Mentre si cerca di risolvere il problema Deutsche Bank con una fusione tutta domestica con un partner, Commerzbank, che ha lo Stato tedesco come principale azionista si sollevano alcune perplessità. Hanno fatto abbastanza clamore ieri le dichiarazioni del Presidente del Consiglio di sorveglianza della Bce Andrea Enria a cui “non piace particolarmente l’idea di campioni nazionali”. Il titolo Deutsche Bank da molti mesi viene accostato all’andamento di un illustre predecessore, scomparso in modo cruento nel 2008, che di nome fa Lehman Brothers. Evidentemente i mercati o gli investitori pensano che gli attivi di Deutsche Bank non siano solidi e non c’è niente che la banca ha potuto dire o fare negli ultimi anni per far cambiare opinione agli investitori.



Su questa vicenda vorremmo esplicitare ancora una volta una questione davvero semplice e banale. Gli attivi di una cassa di risparmio di un comune di 5.000 anime, per quanto buoni o cattivi, sono infinitamente più conoscibili di quelli di una banca che solca i mari della finanza globale in fasi molto particolari e in un’area, l’euro, che produce eccessi di liquidità strutturali; liquidità che da qualche parte bisogna pur mettere dato che si prestano soldi allo Stato tedesco a tassi negativi. Le preoccupazioni degli investitori, in altre parole, non sono un’allucinazione collettiva pluriennale e la fama dei problemi di Deutsche Bank è coerente con tanti indizi e con un’unione monetaria che ha tanti difetti strutturali.



Ma torniamo alla fusione. È chiaro che nessun sistema Paese e nessuna unione monetaria si può permettere il fallimento di una banca delle dimensioni di Deutsche Bank, Abbiamo visto cosa è successo con Lehman e dopo dieci anni ne paghiamo ancora le conseguenze; gli attivi di Deutsche sono quasi tre volte quelli di Lehman. La garanzia vera di Deutsche Bank, il vero argine contro la “speculazione” o contro il fallimento è come sempre lo Stato, in questo caso tedesco. Se qualcuno pensasse che Deutsche Bank è “da sola” o è un puro operatore di mercato dopo tutto quello che si è detto e che si è visto sul titolo negli ultimi cinque anni la storia avrebbe un solo possibile finale e non sarebbe positivo. Quando il gioco si fa duro, la situazione si mette male e Deutsche Bank non riesce più a finanziarsi sul mercato c’è un solo attore in grado di salvare la baracca e sostituire la finanza dei mercati e questo attore può solo essere lo Stato tedesco; esattamente come dieci anni fa in America è stato lo Stato federale, o Inghilterra o in Olanda e in tutti gli altri stati che improvvisamente si sono trovati azionisti di maggioranza o unici proprietari di banche un tempo di mercato.



Dopo la fusione tra Deutsche Bank e Commerzbank la nuova banca avrebbe come principale azionista la Repubblica federale tedesca con una quota del 5%; tanto basta per far capire l’aria che tira è che Deutsche Bank non è “da sola”. Qualcuno si chiederà allora la ragione di tante polemiche sui salvataggi italiani, ma non abbiamo risposte; però una cosa vogliamo dirla: gli effetti sull’economia, la fiducia di imprese e consumatori di quanto successo in Italia in applicazione delle regole europee hanno superato di gran lunga qualsiasi costo addizionale per i debiti che lo Stato italiano avrebbe dovuto fare per fare l’unica cosa che bisognava fare con i salvataggi pubblici e nei casi più gravi la statalizzazione, esattamente come fatto nei Paesi a socialismo reale tipo Stati Uniti o Olanda.

Rileggere le vicende occorse alle banche “locali” italiane alla luce della cronaca di questi giorni su Deutsche Bank è davvero singolare. Soprattutto dopo la decisione della Corte Ue di ieri che ha dato torto alla decisione della Commissione europea del 2015 che impediva il piano di salvataggio dello Stato italiano di Tercas perché considerato aiuto di Stato. In Italia e sugli italiani si sono sperimentate regole che, chi mai l’avrebbe detto, si sono rivelate devastanti per il sistema e che oggi bisogna rimangiarsi forse perché bisogna salvare Deutsche Bank.

Cosa sia la fusione tra Deutsche bank e Commerzbank nei fatti si capisce benissimo anche leggendo analisi e dichiarazioni di molti osservatori tedeschi che non hanno il problema di difendere una certa narrazione sulla superiorità intrinseca della Germania o sulla perfezione dell’euro. La nuova banca sarebbe talmente grande talmente troppo grande per fallire che sarebbe chiaro a tutti che non può fallire e che il suo destino sarebbe indissolubilmente legato a quella del sistema finanziario in cui vive. Colpire Deutsche Bank sarebbe come colpire l’economia tedesca con tutte le conseguenze, in termine di supporto statale, che questo comporta.

Oggi sembra che le istituzioni comunitarie si stiano mettendo in mezzo tra lo Stato tedesco e il salvataggio di Deutsche Bank e potrebbe emergere un angolo di lettura interessante e cioè questo: cosa succede se l’Unione europea comincia a stare stretta alla Germania? Se gli interessi della Germania, economici e geopolitici, non sono più tutelati nell’unione oppure vengono penalizzati? Perché certe idee sull’autoimmolazione necessaria per un progetto più grande di “sovranità condivisa” fuori dall’Italia sono viste per quello che sono: assurde.