Ha un nome davvero difficile da ricordare la successora di Angela Merkel alla guida della Cdu: Annegret Kramp Karrenbauer. Ma dovremo farci l’occhio e l’orecchio, magari iniziando con la sigla AKK. Dovremo abituarci a conoscere la signora perché in fondo potrebbe succedere alla Merkel anche alla guida della Germania. Ha già iniziato a farsi sentire la signora, per un’occasione molto significativa e simbolicamente importante, con un discorso che, come si dice “è tutto un programma”. Ma non il programma che ti aspetti, soprattutto da una tedesca di questi tempi, una che dovrebbe essere allineata al pensiero unico dominante, quello del “più Europa”.
L’occasione è stata quella fornita da un improvvido assist di un Macron costretto a inventarsi qualcosa di nuovo, costretto a lanciarsi nel futuro, perché il presente gli è completamente sfuggito di mano: con i francesi in rivolta e i continui fallimenti nei rapporti internazionali (da ultimo le sciocche ripicche bambinesche contro l’Italia, con tanto di richiamo dell’ambasciatore, ovviamente seguito dal nulla), doveva inventarsi qualcosa di nuovo, ovviamente sempre nel solco del “più Europa”.
E così, dopo il trattato firmato con la Germania (un atto inaccettabile, se davvero si volesse un “più Europa” e non un coacervo di interessi nazionalistici), il 4 marzo ha reso pubblica una “Lettera agli europei”, una sorta di appello per un’Europa più forte e più unita, capace soprattutto di contrastare i nazionalisti e i populisti (leggi Lega e 5Stelle, soprattutto, ma anche il premier ungherese Orban e qualche altro suo sostenitore).
La nostra signora AKK (Annegret Kramp Karrenbauer, ricordiamocela) ha risposto picche, in modo molto duro, direi duramente nazionalistico: “No a centralismo e statalismi europeo, no alla messa in comune dei debiti (idea che in Germania vedono come il fumo negli occhi, ndr), no all’europeizzazione dei sistemi di protezione sociale e del salario minimo: sono la strada sbagliata”. “Una nuova fondazione dell’Europa non può funzionare senza gli stati nazionali: forniscono legittimità e identificazione democratica. Sono gli stati membri che formulano e riuniscono i propri interessi a livello europeo. Questo è ciò che dà agli europei il loro peso internazionale”.
A parte la facile considerazione che se una cosa del genere l’avesse detta, per esempio, un Salvini, in Italia si sarebbero riempite le pagine dei giornali e dei telegiornali per giorni a parlare del nuovo dittatore nazionalista, estremista, fascista (e magari pure un po’ omofobo) ministro dell’Interno; a parte questo, direi che del trattato tra Francia e Germania rimane a questo punto solo la disponibilità francese di condividere il seggio al Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Il resto è ormai carta straccia.
Questo è veramente il “più Europa”: una ideologia a cui costringere gli altri, mentre sottobanco (ma neanche tanto) si fanno i propri interessi. E la conclusione della risposta della signora Karrenbauer ha il senso della pura provocazione: cancellare la sede di Strasburgo, con la scusa dell’ottimizzazione ma col chiaro intento di dire che l’Ue è roba loro, dei tedeschi. E la risposta della Karrenbauer è soprattutto un messaggio a tutti gli altri.
Perfino alcuni giornalisti e commentatori tedeschi hanno detto che questa è una provocazione. Ma è chiaro il messaggio implicito: voi non contate nulla, va bene una guida franco-tedesca dell’Europa perché tanto comandiamo noi. Nella loro ottusità, i tedeschi stanno per prendere il comando del Titanic Europa proprio quando questo, danneggiato irreparabilmente, sta per affondare, nonostante tutte le acrobazie del timoniere Draghi. Si avvicina la nuova recessione, le economie sono in affanno e tutto il mercato finanziario e bancario ha bisogno estremo di liquidità, fornita da una potente discesa dei tassi, come già fatto altre volte. Draghi si è pure impegnato e ha impegnato di fatto il suo successore: nuova liquidità per i prossimi due anni, anche se il suo mandato è in scadenza.
Ma il “piccolo” problema è che i tassi sono già terribilmente bassi e in alcuni casi sono diventati di fatto negativi. Abbassarli pesantemente vorrebbe dire portarli a un pesante segno negativo, circa -2% e anche più giù. Dovrebbe essere inevitabile, visto che alcuni titoli sono già in territorio negativo (titoli svizzeri, per esempio) da tempo e non per sbaglio. Sarebbe inutile, questa necessità folle, anche se venisse attuata seriamente. Infatti, i tassi negativi vogliono dire che chi prende in prestito 100 dovrà restituire 99 (con un tasso negativo dell’1%). Così i prestiti si diffonderebbero a macchia d’olio, ma con l’economia in recessione, chi investirebbe più nulla? Visto che si fanno soldi solo tenendoli in un cassetto, chi si azzarderebbe a correre un rischio? Sarebbe la fine dell’euro come moneta, perché la moneta è per definizione ciò che si muove, ciò che circola, come riportato perfino nel bilancio di Bankitalia: “banconote in circolazione”.
In questo disastro inevitabile, gli economisti tedeschi si stanno preoccupando di come mantenere e aumentare il potere tedesco in Europa: e sono iniziati i commenti del tipo “l’Italia non ha abbastanza oro per ripagarci”. Lo ha fatto esplicitamente l’economista Sinn, voce autorevolissima e ascoltata dal Governo tedesco. Secondo la sua idea, molto in voga in Germania grazie a lui e a tanti altri commentatori economisti e politici tedeschi, noi italiani “dobbiamo” ai tedeschi i saldi del Target2, che a oggi ammontano a circa 480 miliardi di euro.
Il Target2 è un bilancio tra le banche centrali che si forma in questo modo: quando io, per esempio, compro un’auto tedesca e bonifico i soldi al concessionario italiano, lui a sua volta invia il bonifico alla casa costruttrice tedesca: ma in realtà quei soldi vengono “intercettati” da Bankitalia la quale “informa” la banca centrale tedesca, che invia il denaro corrispondente alla banca commerciale, che li immette nel conto corrente della casa costruttrice tedesca. Negli anni, grazie alla forza delle esportazioni tedesche, questo bilancio (che dovremmo chiamare “sbilancio”), chiamato Target2, si è ingrossato fino alla folle cifra attuale. Questo “sbilancio” viene a tutti gli effetti considerato un prestito, però privo di interessi e privo di scadenza.
Ora i tedeschi iniziano a “preoccuparsi” di avere questi soldi (che non gli spettano) e si inizia a fare la conta di cosa abbiamo in casa, forti della narrativa per cui “gli italiani hanno grandi ricchezze private” (soprattutto immobili) su cui mettere le mani. Ma vogliono mostrarsi ragionevoli, non pensano all’esproprio delle nostre case: loro pensano all’oro di Bankitalia e alle proprietà dello Stato, partecipazioni nelle aziende incluse.
Così ragiona l’economista Sinn, intervistato da un giornale tedesco: “Alla fine di ogni anno, le banche centrali nazionali (del Sud) trasferiranno alla Bce riserve auree pari alla variazione del saldo per garantire i loro crediti… Ciò significa che se il saldo obiettivo dell’Italia alla Bce aumenta di 50 miliardi di euro, la banca centrale italiana dovrebbe consegnare 50 miliardi di oro alla Bce… e dare in garanzia anche le azioni dei 40 maggiori gruppi italiani”. Per Sinn l’alternativa sarebbe sulla carta quella di inondare il mercato di liquidità, cosa che lui non vuole nemmeno sentire. Infatti, commenta: “Al peggio sarebbe giunto il momento per la Germania di rinunciare all’euro. Le perdite in uscita non sarebbero un problema rispetto a quel che succederebbe se permettessimo alla Bce di entrare nel mondo dei tassi di interesse negativi”.
Ovviamente anche Sinn si pone il problema di come “salvare l’Italia” e secondo lui vi sono quattro strade:
1) deflazione e prezzi sempre più bassi;
2) aumentare l’alleanza del Nord Europa e sostenere il differenziale dell’inflazione nel Sud;
3) uscita dell’Italia dall’Euro e svalutazione della nuova moneta;
4) centralizzazione del debito e trasferimenti monetari dal nord al sud.
Ovviamente secondo lui le prime due sono socialmente impraticabili, quindi rimangono la 3 e la 4. Ma io penso che Sinn abbia fatto un simile ragionamento per far accettare ai tedeschi l’idea di uscire loro dall’euro, addebitando pure la colpa a noi perché non accetteremo né il piano 3, né il 4. Infatti, il piano 4 è quello che di fatto si sta faticosamente attuando, poco e male, ma è pure quello che i tedeschi non vogliono e non accetteranno mai. Quindi addebiteranno a noi la colpa di non voler uscire dall’euro (e non c’è una modalità di espulsione, per cui l’euro sta diventando una gabbia pure per loro) e quindi come estrema ratio usciranno loro.
Ma una parola va spesa sull’origine di tutto questo ragionamento: il saldo Target2. La pretesa sciocca che noi si paghi quel saldo è pari alla pretesa sciocca di farci pagare le loro esportazioni due volte. La ditta tedesca esportatrice, infatti, ha ricevuto i suoi soldi e non deve avere nulla. Il Target2 è solo una nota di bilancio: i politici italiani, quelli al Governo in particolare, dovrebbero impegnarsi in un pubblico appello ai cittadini tedeschi per dire loro che non riceveranno mai un solo euro dal Target2. Infatti, anche nel folle caso che Bankitalia paghi i 480 miliardi di Target2 e invii alla banca centrale tedesca la sua parte (circa 130 miliardi di euro), questa dovrebbe semplicemente “distruggerli” nel proprio bilancio.
Cioè dovrebbe accadere quello che accade a un qualsiasi prestito di una banca commerciale a un comune cittadino: quando una banca presta 100, li crea dal nulla e li accredita sul conto del cliente; poi questi restituisce 100 più 5 , poniamo, di interessi e la banca nel proprio bilancio “annulla” quei 100 inizialmente creati dal nulla e si tiene i 5 come profitto generato dalla propria attività di credito.
La differenza con Target2 è che questo è un “prestito” tra banche centrali privo di ogni interesse (e privo di scadenza, oltreché privo di limiti secondo i trattati sottoscritti). Quindi la banca centrale tedesca, a meno di falsificare i propri bilanci, non avrà nulla in più dopo aver visto restituito il prestito del Target2, nulla in più da dare ai cittadini o al Governo tedesco, nessun interesse o nessun profitto in più.
Il saldo Target2 è di fatto la contabilità della tasca destra e della tasca sinistra dello stesso paio di pantaloni indossati dalla stessa persona. In un sistema con moneta unica, è solo una contabilità sciocca e inutile. Ma forse bisognerà iniziare ad ammettere, come sostengo io da anni, che in realtà non abbiamo una moneta unica, così come non abbiamo un sistema monetario unico o un sistema bancario unico: proprio il saldo Target2 è la prova più evidente di questa mia affermazione. E le “attenzioni” tedesche alla favola dei soldi che vorrebbero incassare dal Target2 è pure l’evidenza che loro non hanno mai pensato seriamente a una moneta unica e a una reale unione monetaria e bancaria. Per loro la moneta, alle attuali condizioni, è solo uno strumento di dominio e di sottomissione. Questa è la loro idea di Europa.
Questo pensiero inconscio, mai ammesso ufficialmente, però riemerge di tanto in tanto. Un esempio è la gaffe sconcertante del presidente del gruppo Volkswagen, il quale si è lasciato scappare la frase “Ebit macht frei” (“Il profitto rende liberi”), che suona davvero sinistro se paragonato al “Arbeit macht frei” (“Il lavoro rende liberi”) scritto sul cancello di ingresso del famigerato campo di concentramento nazista di Auschwitz. Tanto più se detta dalla bocca di un tedesco. Tanto più se detta dal presidente della Volkswagen, azienda nata sotto il nazismo e orgoglio dell’industria tedesca nazista.
Ma questa parola scappata è semplicemente l’evidenza di quella verità non detta ma praticata, resa operativa, per cui i tedeschi lavorano per i loro privatissimi interessi, per la loro nazione e non per una vaga unione, come ammesso apertamente dalla Karrenbauer, senza alcuna idea di bene comune e di condivisione dei beni. Nessuna idea di “unione” figuriamoci se di Unione europea. Siamo passati dal “lavoro rende liberi” al “profitto rende liberi”, ma la mentalità di dominio è rimasta intatta.
Per chi non lo sapesse, la parola “ebit” non è tedesco, ma è l’acronimo dell’inglese “earnings before interest and taxes” (guadagni prima degli interessi e delle tasse) quindi è un termine tecnico tipicamente finanziario. E la vaga assonanza tra “ebit” e “arbeit” è davvero una sfortuna; la cosa grave però è l’affermazione di una medesima concezione di dominio sugli altri.
Per chi ha una certa sensibilità cristiana, come il sottoscritto e come immagino tanti lettori, è evidente l’abissale distanza che separa questa ideologia da quella affermata dal Nazareno duemila anni fa: “La verità vi renderà liberi”. E sostituendo la verità con il lavoro siamo diventati, invece di liberi, schiavi della finanza. A questa Europa mancano le radici cristiane. E noi tutti oggi ne stiamo pagando drammaticamente le conseguenze.