La Corte di giustizia europea ha stabilito che l’intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi finalizzato al salvataggio di alcune banche italiane non era aiuto di Stato. La Commissione europea aveva impugnato quell’iniziativa ritenendo che, in base alla presunta influenza della Banca d’Italia nel contesto di quell’organo (il Fondo interbancario) e ad altre circostanze, l’attività fosse riconducibile allo Stato che, così facendo, sarebbe entrato nel mercato violando i principi di sana e libera concorrenza su cui è incentrata l’Europa. Oggi la Corte di giustizia con semplici e basilari ragionamenti di logica giuridica ha detto – sostanzialmente – che di tutto questo manca la prova.



È tutto troppo basato su una presunzione e per di più la natura privata del Fondo (sia pure rispondente in parte a finalità pubblicistiche), il suo statuto e la dinamica dell’operazione non portano alla conseguenza meccanica e assodata che l’iniziativa fosse dello Stato. La sentenza è semplice e lineare come quella di certi bravi giudici italiani (se e quando ne hanno voglia). Si è scatenato il finimondo.



L’ On. Antonio Patuelli, oggi Presidente dell’Abi, per 6 anni deputato del Partito liberale nel periodo in cui si delineavano pezzi fondamentali dell’Ordinamento europeo (anni ’80-’90), ha chiesto le dimissioni del Commissario europeo alla Concorrenza, la danese Margrethe Vestager. Sarebbe come se ogni volta che l’Avvocatura dello Stato è soccombente in un giudizio uno chiedesse le dimissioni del ministro della Giustizia. La Corte di giustizia, a proposito, è quella che per centinaia e centinaia di volte (negli oltre sessant’anni di servizio) ha condannato l’Italia come nessun altro Paese europeo. Sui più svariati temi. Tasse, rifiuti, comunicazioni, telefonia. Su tutto. Creando quel clima di vittimismo secondo cui ce l’hanno tutti con noi.



La verità è molto più semplice e banale. La materia è molto complessa e in un mercato – piaccia o no – globale e interconnesso, le distorsioni o le forzature potrebbero costare caro e portare a conseguenze imprevedibili. Basti pensare – ricordava nel 2014 Luigi Federico Signorini, Vice Direttore generale della Banca d’Italia – che il Sistema di vigilanza bancaria europea, nell’ambito del sistema unico di risoluzione, fra norme europee di rango primario (direttive e regolamenti) e secondario (technical standard dell’Eba) si delinea come un Accordo intergovernativo con natura di Trattato internazionale. Migliaia di pagine, 686 solo gli articoli di rango primario.

Più di qualcuno, piuttosto, deve ancora spiegare come si è arrivati a quelle crisi bancarie oppure come il processo di definizione delle regole relative al famoso, terribile bail-in europeo si sia determinato a nostra insaputa. Secondo la filastrocca ormai consolidata che la dice lunga, ancora una volta, sulla qualità delle classi dirigenti del Paese e sul modo di intendere i ruoli di punta come quelli intermedi.

La sentenza è una buona notizia. Attesta l’indipendenza della Corte di giustizia e la semplicità di alcuni principi e ragionamenti, applicabili anche ai sommi poteri europei e alle ineffabili materie come banche, finanza, aiuti di Stato. E per di più apre la porta all’idea o all’ipotesi di costruire operazioni, strumenti, meccanismi di intervento capaci di comporre un quadro delicato – quello della nostra economia – dove potrebbero capitare nuovamente casi come quelli visti. Chi fa polemica su questo non ha davvero nulla, ma proprio nulla da fare.