Altro che frenata. La settimana finanziaria si è chiusa all’insegna della paura della recessione che è esplosa venerdì sull’onda dei dati in arrivo dalla Germania, ma anche dalle indicazioni in arrivo dal comportamento dei mercati americani. A preoccupare gli operatori è stato in particolare l’andamento dei T-bond Usa dopo gli annunci della Federal Reserve che ha accentuato i toni da colomba, facendo intendere che quest’anno non ci sarà più di un aumento dei tassi. O forse nessuno. Oppure, al contrario, i tassi presto torneranno a scendere.
È all’apparenza, un segnale positivo. In realtà, avvalora il sospetto che l’economia vada peggio di quanto non dicano gli annunci ufficiali. Un timore che l’andamento dei mercati obbligazionari ampiamente giustifica: il rendimento delle obbligazioni Usa a tre mesi venerdì ha superato quello, calante, dei titoli a dieci anni. Ma una situazione in cui viene pagato di più il denaro quasi contante rispetto a quello investito sul lungo termine ha un solo significato: la fuga dagli investimenti di rischio, indicatore quasi infallibile di recessione che ha funzionato dalla fine della Seconda guerra mondiale in poi. Andrà così anche stavolta?
Presto per dirlo, visto che non sono mancati i falsi allarmi. Ma i segnali di frenata arrivano anche dall’economia reale oltre che dai mercati finanziari. Una parte dei dati macroeconomici relativi agli Stati Uniti diffusi venerdì, dopo quelli relativi alla Germania, pubblicati nella stessa mattinata, indicano rallentamento in atto. L’indice PMI di Markit sulle aspettative dei direttori degli acquisti delle aziende manifatturiere Usa, in marzo a 52,5 punti, è sceso al di sotto delle attese, a 53,5 punti, da 53 punti. Peggio hanno fatto gli indici tedeschi, precipitati ai minimi da sei anni, a conferma di uno stato di crisi che emerge dai conti dell’auto, dal rallentamento della chimica e che rischia di far precipitare la situazione precaria delle grandi banche, a partire dall’aggregazione debole tra Deutsche Bank e Commerzbank.
Certo, la locomotiva tedesca ha i mezzi per fronteggiare la congiuntura negativa così come i grandi dell’auto possono pianificare la ripresa a tempi medi, quando le innovazioni prenderanno forma all’interno di alleanze vecchie e nuove. La conseguenza immediata del malessere è stato il ritorno dei Bund al rendimento negativo, come nei momenti più difficili delle recenti crisi finanziarie. Un segnale davvero sinistro perché una nuova crisi in un momento di grande fragilità politica e finanziaria (Brexit ma non solo) potrebbe rivelarsi davvero pesante.
Non corrono buone notizie, insomma. Specie per i Paesi più deboli, i più vulnerabili in caso di un’ulteriore caduta del Prodotto interno lordo che inciderà sulla dinamica del debito e dell’inflazione. È ovviamente il caso dell’Italia che insiste in una politica suicida basata sulla spesa a pioggia piuttosto che sugli investimenti con un orizzonte temporale sempre più ridotto. Il rischio di un risveglio amaro, insomma, è sempre più concreto.
Non resta che sperare nel “pacchetto investimenti” di supporto alla crescita dovrebbe accompagnare il Documento di economia e finanza (Def) di metà aprile. Tra le misure del pacchetto, che scommette sull’attivazione degli investimenti pubblici già finanziati, c’è anche un nuovo intervento per accorciare i tempi di pagamento delle imprese da parte della Pubblica amministrazione, insieme a un’ulteriore riduzione dei premi Inail (parte del cuneo fiscale), già diminuiti quest’anno. Nel piano ci sarebbero anche nuovi incentivi fiscali per le imprese che investono nei macchinari (cioè un rafforzamento della neo-legge Sabatini) e la riapertura del regime del super ammortamento, che scadrebbe a giugno, oltre a un nuovo credito di imposta per le spese di ricerca e sviluppo.
Ottime cose che comunque arriveranno troppo tardi per contrastare l’involuzione di questi mesi e che avrebbero avuto ben altro impatto in ambiente più espansivo. Comunque è già qualcosa. Sperando che non si perda altro tempo.