Il Tesoro italiano, nell’arco delle ultime settantadue ore, ha collocato oltre 16 miliardi di titoli di stato. Nonostante l’incremento registrato sul tanto temuto fronte dello spread – in pochi giorni si è passati da valori prossimi a 234 punti all’attuale soglia di oltre 260 – le offerte dei nostrani strumenti finanziari monetari hanno evidenziato un unico comune denominatore: un generalizzato calo nei rendimenti. Noi stessi, nel corso di un precedente intervento, avevamo posto l’attenzione a tale ipotesi soprattutto in ottica prospettica analizzando sia la curva dei tassi di interesse dell’intera Eurozona così come quanto accaduto in precedenti simili situazioni.
Nel corso di questa settimana, abbiamo potuto assistere ai seguenti collocamenti: Ctz (scadenza 27/11/2020) per 2 miliardi con rendimento allo 0,288% (30 centesimi in meno rispetto all’asta del mese precedente); 20ma tranche del Btp decennale indicizzato all’inflazione dell’area euro (scadenza 15/05/2028) emesso per 919,5 milioni e rendimento all’1,60% (-10 centesimi rispetto all’asta precedente); Bot semestrali (scadenza 30/09/2019) per 6 miliardi al -0,062% in calo di 6 centesimi rispetto alla precedente emissione; terza tranche del Btp a 10 anni (scadenza 01/08/2029) con emissione di 2,75 miliardi ed un sensibile calo (meno 20 centesimi) sul proprio rendimento pari al 2,61%.
Unica eccezione con rendimento in rialzo è quella riconducibile alla prima tranche (collocata per 3,75 miliardi) del nuovo Btp benchmark a 5 anni (scadenza 01/07/2024) con rendimento all’1,71% dal precedente 1,59%. Da segnalare inoltre la stabilità del rendimento (1,83% lordo) concernente la quinta tranche del CcTeu (scadenza 15/01/2025) assegnato per 1 miliardo.
In un contesto generale caratterizzato da timori sulla frenata dell’economia globale, la domanda di titoli di stato italiani (e non) sembra colmare l’aspettativa di rendimento di tutti gli operatori che inseguono alfa nella componente considerata “priva di rischio”. Da evidenziare in tal senso quanto accaduto in Germania nei giorni scorsi: il Bund a 10 anni ha scambiato con rendimenti inferiori allo zero e ciò non accadeva dal 2016.
Da sottolineare inoltre l’interessante fenomeno che accade Oltreoceano: sul fronte obbligazionario si assiste alla cosiddetta inversione della curva, ovvero quando il rendimento di un titolo a lunga scadenza (in questo caso il titolo decennale) risulta essere inferiore rispetto a quello di breve durata (in questi giorni il raffronto avviene con la parte a 3 mesi). Si tratta di un significativo alert per il mercato poiché tale situazione si è sempre verificata alla vigilia di una fase di recessione.
Analizzando il quadro d’insieme sembra esserci in atto un vero e proprio turnover di portafoglio. In ambito europeo si rimane in attesa delle prossime valutazioni dei molti attori che fanno da corollario al mercato: in tale limbo si preferisce un approccio core all’investimento privilegiando asset class difensive (titoli di stato tedeschi e dollari statunitensi). Sul versante americano invece, avendo preso atto delle mosse in chiave monetaria da parte della Fed, la scelta che sembra prevalere si lega concretamente a una logica di brevissimo periodo con riposizionamenti in chiave tattica sulla parte breve della curva.
Tali dinamiche appaiono sottotraccia rispetto alle più appetibili performance dei listini azionari e, di fatto, quanto sta accedendo assume sempre questi tratti prima che si concretizzi il vero e proprio switch di portafoglio. A seguito di tale considerazione, e in ottica complessiva di portafoglio, è pertanto auspicabile il monitoraggio dei mercati partendo prima dalla componente bond per successivamente valutare la più rischiosa asset class rappresentata dall’equity. Fino a quando si assisterà a un mancato equilibrio tra queste due “forze” il miglior suggerimento è quello di attendere prima di definire ogni tipo di posizionamento.
Si potrebbe obiettare enfatizzando il sempre e tanto amato “concetto di diversificazione” (tra componente obbligazionaria e azionaria), salvo nuovamente controbattere come quest’ultimo paradigma – a conti fatti – sembra esser ormai superato nel corso degli ultimi anni per via di una ritrovata correlazione tra le stesse asset class.
Tutto ciò sembra esser materia prettamente teorica, ma – nella pratica quotidiana – le “leggi scritte” che regolano i mercati mutano la loro fisionomia senza alcun palese riscontro tranne per una sola eccezione concreta: l’eventuale minusvalenza sul proprio portafoglio.