Non è difficile sospettare che il presidente Sergio Mattarella avrebbe volentieri fatto a meno di apporre la propria firma alla legge che ha istituito la nuova Commissione d’inchiesta sulle banche voluta dal Governo giallo-verde. La conferma arriva dai paletti posti all’attività del nuovo organismo che, vista la durata del mandato e l’ambito dei compiti attribuiti dal Parlamento, rischia di configurarsi come un nuovo potere (o forse contro-potere) nei confronti delle autorità esistenti, sia in Italia che a livello europeo, in grado di interferire e condizionare l’intera attività del credito. Per carità, i problemi non mancano in materia finanziaria. E non potrebbe essere diversamente per un sistema che a fatica sta emergendo dalla voragine delle sofferenze, assai frammentato e provato dai crac che si sono susseguiti e dalle perdite registrate dai risparmiatori e dagli azionisti. Un fardello che, per la verità, solo in parte può essere contestato ai banchieri di casa nostra.
Certo, ci sono stati comportamenti colpevoli e arricchimenti illeciti (ben poca cosa rispetto alla realtà anglosassone e tedesca), ma il cedimento strutturale di una parte del sistema non è stato il frutto di furti o malversazioni, bensì il risultato di una crisi che ha mandato all’aria un quarto del sistema industriale del Paese, più il cappio del debito pubblico e altri guai che una gestione intransigente e miope da parte di Bruxelles (vedi la gestione del caso Tercas) hanno ampliato a dismisura.
Di tutto questo, del resto, si è già occupata la precedente Commissione d’inchiesta. Stavolta l’obiettivo è senz’altro più ampio, perché l’indagine riguarderà l’intero sistema, non solo istituti coinvolti in situazioni di crisi, con l’obiettivo di “analizzare la gestione degli enti creditizi”, ovvero una dizione che più generica e ampia non si può. Quasi una licenza di uccidere, per scomodare James Bond, peraltro conferita ad agenti come Gianluigi Paragone, senz’altro ottimi giornalisti e conduttori tv, ma che nulla probabilmente sanno di tecnica bancaria, dei regolamenti di Basilea, di credit default swap o di altri derivati. E ignari, è lecito supporre, di Intelligenza Artificiale, Fintech e altre tecnologie che probabilmente cambieranno dalle fondamenta il sistema nel prossimo futuro, alla faccia dei nostalgici della vecchia filiale dove il bancario del buon tempo antico custodiva i libretti di risparmio investendo i depositi nelle migliorie della drogheria all’angolo.
Non è il caso, però, di prendersela con Paragone o altri politici che hanno esclusivi interessi politici. Una commissione di indagine, capace di affrontare con la necessaria sensibilità e competenza un rinnovamento del sistema potrebbe metter le basi per una ripartenza dell’economia di casa nostra. Sarebbe sufficiente attendere pochi mesi (non più di otto) per poter affidare l’impresa a Mario Draghi, in uscita da Francoforte, così come Barack Obama seppe sfruttare competenza e autorità di Paul Volcker, l’ex presidente della Fed, per voltar pagina dopo la grande crisi. Ma in quel caso si guardava avanti con la volontà di affrontare e risolvere i problemi. Un compito probabilmente impari per le capacità dei nostri piccoli Catoni in erba, alla ricerca di occasioni per alimentare la audience tv, il mestiere che sanno fare meglio.
Non è difficile prevedere che la Commissione, pur con i saggi paletti posti dal Presidente per evitare invasioni di campo nei confronti di Banca d’Italia, della magistratura o delle istituzioni Ue, offrirà molti spunti polemici e altrettante occasioni per influire sulle scelte dei professionisti. Più arduo capire che contributo possa offrire al miglior funzionamento del sistema, sia oggi che in proiezione futura. Ma non è questo l’intento della maggioranza, che pur dovrebbe badare a governare, ma che preferisce imbastire processi, l’attività che gli riesce meglio.