In settimana l’ennesima doppia doccia fredda sulle stime di crescita 2019 – prima da Confindustria, che ha parlato di crescita zero, e il giorno seguente da S&P’s, che si è spinta solo di una piccolissima incollatura al +0,1% rispetto al precedente +0,7% – si è abbattuta come un micidiale uno-due pugilistico che ha messo di nuovo alle corde le prospettive economiche dell’Italia. Un affondo pesantissimo. La spread ha accusato il colpo, meno scosso il Ftse Mib. Ma come reagiranno i mercati al gong di lunedì mattina? Cosa succederà sui grafici di Piazza Affari? Lo abbiamo chiesto ad Alessandro Magagnoli, analista tecnico e co-fondatore di Financial Trend Analysis (Ftaonline).
Il clima si è fatto molto pesante. Dove possono volgere gli occhi gli investitori?
Si guarda, ancora una volta, alla Bce di Draghi, che negli ultimi anni è sempre stata l’àncora di salvezza per le debolezze dell’Italia.
Vero, ma Draghi ha recentemente detto con chiarezza che i rischi per l’Eurozona restano orientati al ribasso…
E’ così, e proprio per questo motivo la politica monetaria della Bce rimarrà accomodante. Ma è anche il momento, giunti a questo punto del ciclo economico, di domandarsi che cosa potrà fare ancora la Bce che non ha già tentato per rimettere il treno in carreggiata.
Il bazooka rischia di sparare a salve?
Inutile nasconderlo: con i tassi ai minimi record e un’espansione senza precedenti del bilancio, le munizioni per rispondere al probabile assalto di una decrescita globale sembrano ridotte. Anche perché la colpa della difficile situazione attuale è da ricercare in fattori esterni, sui quali si può agire fino a un certo punto. Se i mercati, fino a poco tempo fa, rispondevano positivamente alle promesse della Bce di allargare i cordoni della borsa per ridare slancio all’economia, ora ci si interroga sul rischio che l’economia peggiori senza che si possa arginare la contrazione.
Quali sono i fattori che zavorrano d’incertezza i mercati?
Oltre alle preoccupazioni che la guerra commerciale tra Usa e Cina, tutt’altro che conclusa, possa danneggiare ulteriormente il commercio e le prospettive di crescita degli utili aziendali in molti settori, resta ancora innescata la bomba della Brexit: un’uscita “disordinata” del Regno Unito dalla Ue potrebbe essere il colpo di grazia alle speranze di riuscire a evitare che il rallentamento diventi un vero e proprio tonfo. E dagli Stati Uniti arrivano più motivi di preoccupazione che di sollievo.
Quali?
Se il mercato immobiliare è lo specchio della situazione che verrà, allora non ci resta che indossare l’elmetto. Negli Usa i nuovi cantieri residenziali sono crollati a febbraio, ben al di sotto delle attese degli analisti. Anche le licenze edilizie sono calate dell’1,6% e l’indice S&P/Case Shiller, che misura l’andamento dei prezzi delle abitazioni nelle 20 principali città americane, a gennaio, pur mostrando un incremento del 3,6% rispetto allo stesso periodo del 2018, ha frenato dal +4,1% della rilevazione precedente, risultando inferiore anche al consensus, pari al +4,3%.
Ci sono altri motivi di apprensione da oltre Atlantico?
Si intravedono crepe sul fronte della fiducia dei consumatori: gli acquisti delle famiglie americane, come dicono gli economisti, sono quelli che “guidano il bus”, ovvero sono l’elemento trainante dell’economia, e un loro rallentamento darebbe ragione alla Fed, che recentemente ha tagliato pesantemente le stime di crescita per il 2019, portandole al 2,1% a fronte del 3% circa ipotizzato dall’Amministrazione Trump. In più, è tornato ad aleggiare il fantasma dell’inversione della curva dei tassi, che sembrava scomparso dai radar nelle ultime settimane. Il titolo con scadenza a tre mesi rende più di quello a 10 anni, una curva dei rendimenti così appiattita avverte che il mercato si attende guai.
Lo spread sembra già pagare il deterioramento delle previsioni, non è vero?
Sì. Il differenziale tra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi con scadenza a 10 anni è rimbalzato con forza, dopo essere sceso fugacemente al di sotto di quota 240, un’area di supporto critica. Per il momento la reazione è gestibile. Solo oltre area 280 si dovrebbe iniziare a temere nuovamente il ritorno delle tensioni che avevano caratterizzato l’andamento delle quotazioni a settembre e a ottobre 2018, ma già il fatto che il mercato abbia rigettato l’idea di stabilizzarsi al di sotto dei 240 punti è un indizio preoccupante.
E il grafico del future sul Btp?
Non è tranquillizzante: le quotazioni sono salite con decisione dai minimi dello scorso ottobre di quota 114,30 circa fino in area 130, un rimbalzo decisamente esteso e forse anche imprevedibile, ma che si è fermato sul più bello, ovvero senza riuscire a mettere alla prova i massimi dello scorso anno di area 131,60/131,70. Senza il superamento di quei livelli resterà il dubbio che tutti gli sforzi fatti negli ultimi mesi siano in realtà solo un episodio correttivo della tendenza primaria, che resta orientata al ribasso: il future ha infatti impiegato 10 mesi circa per ripercorrere a ritroso, e nemmeno per intero, il ribasso realizzatosi in un solo mese lo scorso maggio. A meno di una prossima rottura di area 131,60/131,70 sarà quindi opportuno iniziare a considerare possibile uno scenario che vede tornare le quotazioni al punto di partenza, i minimi di maggio a 113,05 circa, o almeno sulla linea che unisce i minimi di maggio e quelli di ottobre, al momento passante a 115,50 euro circa.
Primi segnali negativi?
Al di sotto di area 126, e conferme con la violazione di 123,50. Del resto, lo scenario alternativo, che prevede il superamento di area 131,70 e il raggiungimento almeno di 136,50 euro, per quanto plausibile da un punto di vista grafico, può esserlo considerando la situazione dei conti pubblici?
Veniamo all’andamento della Borsa italiana. Dove sta andando?
Bisogna guardare il future Ftse Mib e non l’indice, per via del diverso modo in cui vengono trattati i dividendi: nel caso del future, sono già stati sottratti dalle quotazioni attuali, che rappresentano quindi una previsione di quello che sarà il valore dell’indice nei prossimi mesi dopo lo stacco delle cedole.
Ebbene, che cosa ci dice l’analisi grafica del future Ftse Mib?
Si scopre che, a differenza di quanto accaduto per l’indice, le quotazioni sono già scese al di sotto della base del canale crescente tracciato dai minimi di fine dicembre, segnalando il rischio che la correzione del rialzo dell’ultimo trimestre sia già iniziata. Con l’allarme di Confindustria sui conti pubblici, mercoledì scorso il future ha fatto una pericolosa inversione di marcia dopo aver avvicinato i 20.900 punti, lato superiore della fase laterale disegnata dai massimi del 7 marzo. In analisi tecnica le fasi laterali possono avere due ruoli: o preparano un rialzo, sono quindi una zona in cui si “accumula” forza che viene poi liberata al superamento del lato alto della fascia, oppure preparano un ribasso, ovvero “distribuiscono” risorse, prosciugando la corrente di acquisto fino a che i prezzi, senza più sostegno, scendono al di sotto del limite inferiore della fascia e si avvitano al ribasso.
Tradotto in numeri?
Sotto area 20.250/20.300 il destino del future sarebbe segnato, almeno per quello che riguarda il breve/medio termine, con la prospettiva di vedere i prezzi scendere prima in area 19.700, poi, in caso di violazione anche di questo supporto, fino sui 19.000 punti. Solo la rottura decisa di area 20.900 dimostrerebbe che il mercato ha digerito anche queste ultime polpette avvelenate e che è deciso a dare fiducia all’Italia, Brexit permettendo, almeno fino alle elezioni europee di fine maggio.
Due ipotesi plausibili?
Entrambe, durante la costruzione di una fase laterale, hanno in teoria uguale dignità. Ma in questo caso, tenendo presente tutto quanto detto sulla situazione globale e su quella italiana, è facile intuire quale delle due ha maggiori probabilità di avverarsi…
(Marco Biscella)