Mentre le cronache di economia continuano giustamente a seguire l’evolversi della situazione in Tim, dove la conflittualità fra gli azionisti Vivendi e Elliott sembra non voler finire, ci sono due notizie del settore delle telecomunicazioni che molto probabilmente sono passate inosservate al grande pubblico e che ci sembrano invece molto significative.



Il 14 febbraio, la Sirti, un’azienda italiana specializzata nella progettazione, realizzazione e manutenzione di grandi reti di telecomunicazione, che dagli anni ’70 agli anni ’90 gravitava nell’ambito della Stet-Iri e nel gruppo Telecom, ha annunciato 883 esuberi, un quarto della propria forza lavoro, con tagli massicci previsti in quasi tutti i reparti e su tutto il territorio nazionale. I primi tentativi di trovare un accordo fra azienda e sindacati, per ora, sono risultati inutili.



Il 20 febbraio, “nel quadro di una serie di incontri con i leader italiani e americani del settore privato, l’Ambasciatore degli Stati Uniti in Italia, Lewis Eisenberg ha avuto un cordiale colloquio con l’amministratore delegato di Tim, Luigi Gubitosi”. È quanto si è letto in un tweet dell’Ambasciata Usa in Italia. L’incontro citato si colloca nel contesto della netta posizione presa nei giorni scorsi dal presidente degli Usa, Donald Trump, che ha più volte indicato le aziende cinesi Huawei e Zte come gruppi le cui tecnologie avrebbero reso possibile lo spionaggio negli Stati Uniti, invitando le nazioni alleate a non installare le tecnologie delle due società, soprattutto per le nuove reti 5G.



La prima notizia ci ricorda che il settore delle telecomunicazioni in Italia vive una fase di crisi molto profonda: non a caso, i sindacati confederali nell’ambito del rinnovo del contratto di settore tlc stanno chiedendo di inserire la costituzione di un Fondo di solidarietà per gestirne la ristrutturazione nella maniera meno traumatica possibile. La seconda notizia sottolinea come il settore delle telecomunicazioni rimanga strategico, sia dal punto di vista della sicurezza nazionale che dell’evoluzione industriale.

Se cerchiamo ora di porre all’interno di questo contesto, brevemente delineato, anche l’attuale situazione di Telecom Italia, l’ex-incumbent, se ne comprende forse meglio la criticità e l’importanza per l’intero sistema-paese. Nella recente intervista al Corriere della Sera dell’Ad Gubitosi del 30 gennaio che ha anticipato diversi contenuti del piano industriale presentato il 21 febbraio, si sono sentite finalmente affermazioni piene di buon senso, ma nuove rispetto anche a un recente passato. Per la prima volta, un Ad di Tim ha detto, fra l’altro: «L’Italia ha poche risorse per realizzare infrastrutture ed è in costruzione una seconda rete che si sovrapporrebbe a quella di Tim. È opportuno massimizzare l’efficacia degli investimenti viste anche le dimensioni delle infrastrutture di cui il Paese ha bisogno».

E ha concluso con un’altra affermazione altrettanto importante e decisiva: «Il settore delle Tlc è strategico per lo sviluppo e la digitalizzazione del nostro Paese. Il lancio del 5G accelererà il processo di cambiamento di un settore che ha bisogno di un complessivo piano di riassetto. Tim è pronta ad essere al centro di questa partita per portare vantaggi agli azionisti, ai dipendenti, ai clienti e, in sintesi, al Paese. Tim è l’unica azienda italiana che ha le dimensioni per essere competitiva con gli altri gruppi europei».

Su quest’ultima affermazione, in particolare, vale la pena fare qualche ulteriore osservazione. Nel piano industriale, recentemente presentato il 21 febbraio, non si prendono in considerazioni dismissioni, eccetto per Persidera, società che sviluppa e gestisce i multiplex digitali, della cui vendita si parla da tempo. Non si propone alcuno “spezzatino” per un recupero immediato dal punto di vista finanziario, come da diverse parti si era invece ipotizzato. In particolare, per Sparkle e Tim Brasil, si indica un piano di rilancio e di potenziamento.

Ricordiamo che Sparkle ha una rete di 560 000 chilometri in fibra ottica, estesa dal Mar Mediterraneo, all’Oceano Atlantico e Indiano, e rappresenta il settimo operatore mondiale del settore e il secondo in Europa, mentre Tim Brasil ha 55,9 milioni di clienti su rete mobile, con una quota del mercato brasiliano oltre il 24%. Sparkle ha una decisiva importanza anche dal punto della sicurezza nazionale: sulla rete di Telecom Sparkle, gira per esempio, l’80% del traffico internet di Israele.

Tim Brasil rappresenta ormai l’ultimo “gioiello” delle partecipate estere rimaste al gruppo Telecom Italia, fino agli anni 2000 presente in tutta l’America Latina e in buona parte dell’Europa e in Nord Africa. Ricordiamo che Telefonica, quando divenne primo azionista di Telecom Italia, provò in diversi modi a “acquisire” Tim Brasil per consolidare la propria posizione in quel Paese emergente.

All’intervista dell’Ad di Tim ha fatto poi eco l’intervista dell’Ad di Cassa depositi e prestiti, Fabrizio Palermo, del 13 febbraio che alla domanda “Due settimane fa lei ha rilanciato le trattative per una rete unica tra Tim e Open Fiber. Perché è intervenuto con tanta determinazione?”, ha risposto: “Il tema delle reti di tlc è strategico per lo sviluppo del Paese. Era opportuno che i vertici delle due aziende si aprissero al confronto. Ora lo stanno facendo. Vedremo come evolve la situazione e aspettiamo, rispettosi dell’autonomia di entrambe”. Inoltre, alla domanda “Sull’acquisto delle azioni avete una minusvalenza elevata. È stato un errore?”, ha risposto: “Non facciamo trading e non dobbiamo essere giudicati sull’andamento di singole operazioni. Siamo investitori di lungo periodo. Entrare nella partita delle reti tlc è una scelta strategica per Cdp e per il Paese. Sono asset importanti per la crescita. I conti si faranno alla fine. Senza fretta. Ricordo che siamo l’unico soggetto in grado di finanziare iniziative a 30 anni, l’arco di tempo su cui siamo abituati a misurare i nostri interventi è lungo“.

Il percorso è lungo, non a caso entrambi gli Ad hanno mostrato molta prudenza, ma finalmente si sono sentite affermazioni piene di realismo e che possono indicare una strada, anche se ancora lunga e piena di insidie. Le rimettiamo in fila, naturalmente secondo una nostra ottica, che intende privilegiare un punto di vista che abbia soprattutto a cuore il bene del sistema-Paese:

1) L’Italia ha bisogno di infrastrutture ma ha poche risorse per realizzarle, eppure è tra i pochi Paesi che – finora – sta andando verso una sovrapposizione delle reti di telecomunicazioni: occorre trovare una soluzione che risolva questa palese contraddizione. L’apertura di un tavolo fra Open Fiber e Tim è un primo passo molto positivo;

2) Il tema delle reti di tlc è strategico per lo sviluppo e la digitalizzazione del Paese. Entrare nella partita delle reti tlc – da parte di Cassa depositi e prestiti, ovvero da parte dello Stato – è una scelta strategica per il Paese e l’arco di tempo su cui occorre misurare tali interventi è necessariamente lungo: in altri termini, non può essere valutato come una semplice operazione finanziaria di cui valutare il vantaggio nel breve periodo;

3) Tim è l’unica azienda italiana che ha le dimensioni per essere competitiva con gli altri gruppi europei. Tutti gli interventi che si intendono operare devono tener conto di questo dato, se vogliamo che l’Italia continui ad avere una propria voce nel settore delle telecomunicazioni e anzi riprenda quella posizione di rilievo a livello internazionale che aveva ed ha conservato fino agli anni 2000.

Certamente questa rappresenta una prospettiva difficile per le molte difficoltà interne e per i molti concorrenti esterni, ma è l’unica veramente perseguibile a lungo termine, rispetto alla vocazione tipica dell’Italia, di essere un Paese che esporta know-how e tecnologie.