Del mistero dei due rapporti “scientifici” sulla Tav, uno presentato al ministero delle Infrastrutture italiano e uno presentato alla Commissione europea, ci sarebbero tante cose da dire. Cominciamo da questa: nel rapporto consegnato alla Commissione europea si stima un beneficio della Tav pari all’1,6% del Pil europeo e cioè circa 300 miliardi di euro a fronte di costi, stimati nel rapporto “italiano”, di circa 12 miliardi di euro, cioè per ogni euro speso ne ritornano 25. Assumiamo pure che i benefici italiani siano in percentuale del Pil italiano su quello europeo e arriviamo comunque a circa 30 miliardi di euro di euro di benefici e cioè per ogni euro speso ne ritornano 2 e mezzo; questo senza considerare che siccome l’opera è in Italia e non in Spagna ovviamente i benefici italiani sono proporzionalmente molto superiori.



Per chi si sorprende di conclusioni così diverse prendendo per buoni due rapporti prodotti, in qualche modo, da mani simili facciamo un piccolissimo appunto. Solo a un pubblico di creduloni o di inesperti si possono spacciare queste analisi come “scientifiche”. L’economia non è una scienza esatta e soprattutto, ci risulta, nessuno è in grado di prevedere il futuro e tanto meno di “contarlo”; al limite il futuro si può intuire, immaginare, anticipare di certo non si può contare in maniera esatta. Posso immaginare che quel settore o quella zona residenziale abbia un ottimo futuro, ma nessuno può mettere un numero su quello che sarà tra dieci anni. Questo è il vizio di fondo di una certa impostazione; sempre ammesso che non ci sia un’assurda e “ideologica” opposizione alla rotaia in favore della gomma; con tutto quello che ne consegue.

Dei due rapporti ci stupisce la differenza di approccio nella stima dei traffici futuri. In quello consegnato all’Unione europea si legge chiaramente lo sforzo di immaginare uno scenario nuovo rispetto a quello che conosciamo. Questo è l’approccio giusto perché un’opera come la Tav, esattamente come l’Autostrada del sole, crea uno scenario nuovo. È l’offerta di un servizio che crea la domanda. Non ci dilunghiamo sulla grande differenza tra il numero di pagine dedicato agli impatti sull’ambiente di uno e dell’altro. Su questo vorremmo solo dire che da Londra alla Svizzera con investimenti colossali tutti stanno immaginando un futuro che va su rotaia per due ragioni: è molto più sicuro e prevedibile e inquina molto meno. In una regione geograficamente piccola e densamente abitata come l’Europa il treno rimane un’opzione di grande buon senso.

Se avete ancora un po’ di pazienza vorremmo dire un’ultima cosa. Ammettiamo che quest’opera sia un azzardo e un rischio. Cosa succede se gli altri stati ci perdono dei soldi, ma danno alle loro imprese un vantaggio competitivo, di velocità e costo, mentre le nostre rimangono senza? Cosa succede se per spostare le merci dall’Asia all’Europa per arrivare in Italia bisogna fare un giro più lungo di molte ore con molti costi in più rispetto alla Germania o alla Francia? È la stessa questione per cui noi italiani pagheremo il gas e l’elettricità più dei tedeschi, imprese incluse, a causa di 20 anni di decisioni assurde sui gasdotti e sull’energia. Questo è il rischio di non fare certe opere mentre gli altri le fanno.

Un Paese in recessione da dieci anni si può permettere questi rischi e si può permettere di accusare un altro, l’ennesimo, svantaggio competitivo per le sue imprese? Fate voi… di certo è tutto coerente con la “decrescita felice”… poi però smettiamo per sempre con le lamentele, spesso giustissime, sull’Europa.