In un clima all’inizio insolitamente teso, ma alla fine “fruttuoso”, come ha ricordato il presidente del Consiglio europero, Donald Tusk, si è chiuso con un accordo il XXI vertice Ue-Cina. Pechino ha accettato tutte le richieste della Ue sui diversi punti, inizialmente controversi, della bozza di dichiarazione congiunta. “Tradurremo in azioni concrete la nostra parola” data alla Ue con gli impegni presi, in particolare “un trattamento uguale alle imprese europee e cinesi” con una “apertura che sarà nei due sensi”, ha dichiarato il premier cinese Li Keqiang al termine del bilaterale. Che cosa potrebbe cambiare, ora, nei rapporti tra Bruxelles e Pechino? “Quella a cui stiamo assistendo – risponde Francesco Sisci, esperto di Estremo Oriente, editorialista di Asia Times e docente alla Renmin University of China – è una ridefinizione dell’intero orizzonte degli accordi commerciali tra Cina e Paesi sviluppati. E val la pena sottolineare due elementi”.



Quali?

Gli Stati Uniti potrebbero arrivare presto a un nuovo accordo commerciale bilaterale, che appunto garantisca maggiore reciprocità. In questa luce anche la Ue chiede in sostanza di avere dalla Cina un trattamento analogo a quello accordato da Pechino a Washington.

E il secondo elemento?

Questi accordi bilaterali, d’altro canto, rivelano il fallimento complessivo dell’Organizzazione del commercio mondiale, i cui accordi evidentemente sono insoddisfacenti. Lì uno dei problemi principali è l’ambiguità con cui la Cina è entrata nella Wto. Oggi, in base al Pil procapite, viene ancora considerata un Paese in via di sviluppo, ma prendendo a riferimento il Pil complessivo la Cina è la seconda economia del mondo, quindi non può oggettivamente essere trattata come il Ghana. Vent’anni fa la speranza era che nel tempo la Cina si sarebbe trasformata a tal punto da poter aderire “naturalmente” alle clausole della Wto.



Invece?

In questi vent’anni la Cina è sì cambiata, ma per Stati Uniti e Unione europea non abbastanza, e così com’è cambia tutte le dinamiche del commercio e dell’economia mondiale. Ormai sfiduciati nella cornice della Wto, Usa e Ue trattano bilateralmente, ma temo che la cosa non si fermerà qui.

Ue e Cina sembrano aver trovato un accordo per evitare “trasferimenti forzati di tecnologia”. È un obiettivo realistico?

Uno dei temi più scottanti nelle trattative con gli Usa è la verificabilità degli accordi. Michael Pilsbury, un consigliere di Trump, sostiene che il problema dell’accordo sul disarmo con l’Urss fu proprio quello della non verificabilità e oggi molti in America insistono che anche con Pechino sul commercio e sui trasferimenti tecnologici forzati occorre garantire la possibilità della verifica. Gli accordi non sono chiusi e non sappiamo, ma di certo, questa storia è agli inizi e non finisce qui. Del resto la Cina si sta dimostrando più aperta di quanto alcuni temevano in passato, quindi ci sono buone ragioni per avere speranza.



L’Europa chiede anche che la Cina non sussidi più le sue aziende di Stato, alterando così le regole della concorrenza. Pechino accetterà davvero questa richiesta?

Il diavolo è nei dettagli e questo, di fatto, tocca un asse portante dell’economia cinese: modificarlo, cambia la struttura economica del Paese. E’ possibile pensare a delle concessioni, ma un’accettazione completa mi pare al momento molto difficile. Del resto, però, anche solo accettare di discutere il problema dimostra che Pechino riconosce che la questione esiste.

Gli Stati Uniti per trattare con la Cina non esitano a utilizzare l’arma dei dazi. L’Europa ha denti per mordere?

In teoria sì, perché il commercio estero è uno dei temi su cui i Paesi Ue hanno devoluto poteri a Bruxelles. Di fatto, però, è molto delicato perché tante materie, investimenti inbound e outbound, possono esulare dagli accordi, Da qui il timore di alcuni Paesi che la Cina possa giocare al divide et impera nel frammentato puzzle europeo.

Anche perché la Cina sa quanto l’Europa abbia bisogno dei suoi capitali e dei suoi investimenti. Pechino come utilizzerà questa carta nel confronto con la Ue?

Io credo che più che di investimenti l’Europa abbia bisogno del mercato cinese. L’Europa complessivamente vanta un’economia che è un terzo più grande della Cina, dispone di ingenti risparmi e ha surplus commerciali per centinaia di miliardi. La mancanza di investimenti interni in Europa non è dovuta a questioni legate alle politiche di bilancio europee. Se cambiassero le politiche, e nel caso dell’Italia si modificasse anche la macchina burocratica, centinaia di miliardi sarebbero da subito fruibili, molto di più di quanto la Cina potrebbe dare. Quello che invece la Cina può offrire ai Paesi Ue è il suo mercato, potenzialmente in futuro la singola area economica più grande al mondo. Ma qui occorre trattare per una maggiore apertura del mercato cinese.

Per l’accordo sugli investimenti, sulla tutela delle indicazioni geografiche tipiche e sulla riforma del Wto, a cui la Cina si è impegnata a lavorare insieme all’Europa in chiave anti-Trump, dopo un lungo stallo sono state indicate delle scadenze. Saranno rispettate? E come va interpretata l’inerzia cinese? C’è chi dice che Pechino attenderà l’esito del duro confronto con Trump, è così?

L’accordo con gli Stati Uniti è cruciale. Se gli Usa firmano con Pechino, la Ue seguirà. Se viceversa non succederà, allora anche per la Ue le tensioni con la Cina potrebbero intensificarsi.

Macron ha detto che è finita “l’era dell’ingenuità” nei rapporti con Pechino. La Cina resta un “possibile partner”, ma anche “un concorrente strategico” e “un rivale sistemico”. Ma un’Europa divisa al suo interno e indebolita dalla crisi saprà mantenere questo difficile punto di equilibrio?

Difficile rispondere. Tuttavia la Ue ha dimostrato di essere molto più forte del previsto, costringendo di fatto il Regno Unito a umilianti passi indietro sulla Brexit. Per l’Unione europea la Cina è una “storia” più facile, semplicemente perché più esterna, della Brexit. Quindi non bisogna sottovalutare la forza di Bruxelles, specie se, come emerge in questi mesi, c’è un accordo crescente con Washington su Pechino.

Che cosa si può dire sulla posizione dell’Italia oggi, nel contesto di questo accordo?

Ahinoi, l’Italia che si è sbracciata tanto sulla Cina è più fanalino di coda del passato e si è dimostrata, per dirla alla cinese, una tigre di carta, o alla napoletana, un guappo di cartone.

(Marco Biscella)