Si attendono maggiori dettagli sul Def, dopo il Consiglio dei ministri “lampo” che l’ha approvato. “Confermati i programmi di governo: nessuna nuova tassa e nessuna manovra correttiva”, si legge in una nota di palazzo Chigi, ma non è chiaro se abbia trovato spazio, come si ipotizzava alla vigilia, il taglio delle tasse (“nel Documento se ne parla in due passaggi”, ha detto Matteo Salvini al termine del Cdm), con l’obiettivo di arrivare a due sole aliquote, al 15% e al 20%, nei prossimi anni, partendo, come richiesto dalla Lega, da una flat tax al 15% riservata alle famiglie con redditi fino a 50.000 euro. «Tutti auspicano una riduzione delle tasse. Il punto – ci dice Leonardo Becchetti, professore di Economia politica all’Università Roma Tor Vergata – è capire se tale operazione è sostenibile dal punto di vista della finanza pubblica. Cosa che non vuol dire temere un rimprovero da parte dell’Europa, ma evitare che ci sia una crisi di fiducia nei mercati finanziari sulla sostenibilità del nostro debito. C’è poi un problema relativo alla progressività del nostro sistema fiscale, ma il reddito di cittadinanza potrebbe andare in aiuto del Governo».
In che senso?
Io penso che la progressività ci debba essere e, pur con tutti i suoi limiti, se il reddito di cittadinanza funzionerà, rappresenterà in una certa misura un aiuto ai ceti più deboli, cosa che ridurrebbe in parte la non progressività della flat tax. Sarà in ogni caso importante che ci sia un’effettiva attenzione alle famiglie, che non si è vista molto con il reddito di cittadinanza, perché i coefficienti che sono stati usati per adeguare il reddito di un singolo a quello di una famiglia sono molto penalizzanti rispetto a quelli usati solitamente dall’Ocse e da altri organismi internazionali.
Professore, torno un attimo su quello che ha detto sulla sostenibilità della flat tax dal punto di vista dei conti pubblici. In un’intervista, il ministro Tria ha fatto capire che non sarà fatta in deficit, ma con tagli di spesa…
Mi sembra una strada difficile da percorrere, perché di spending review si parla da tantissimi anni e i risultati sono sempre stati scarsi. Non si può pensare di aggredire quella gran massa di spesa pubblica rappresentata dagli stipendi della Pa, quindi vedo pochi margini d’azione. Anche rivedere deduzioni e detrazioni fiscali potrebbe causare delle proteste sociali piuttosto forti.
Meglio allora seguire la strada indicata da Armando Siri, secondo cui le risorse per la flat tax si possono trovare valorizzando i 400 miliardi di patrimonio immobiliare pubblico?
Questa idea di valorizzare il patrimonio immobiliare dello Stato è una sorta leggenda, non ci è mai riuscito nessuno dai tempi di Tremonti, che aveva cominciato dalle cartolarizzazioni. Inoltre, non è ipotizzabile riuscire a ottenere delle risorse nel breve termine, senza dimenticare che nel patrimonio pubblico ci sono immobili di difficilissima vendita sul mercato. Secondo me, quindi, si tratta di una boutade. La storia ci dice che in questi anni l’unica misura che ha prodotto progressivamente più risorse non è quella della spending review, né quella della valorizzazione del patrimonio immobiliare.
Qual è?
La lotta all’evasione. Ci sono quasi 100 miliardi di nero che sono in teoria tutti aggredibili con le tecnologie odierne. Dunque la vera via da percorrere, a mio avviso, è quella di realizzare il famoso progetto “pagare meno, pagare tutti”, ovvero destinare i proventi della lotta all’evasione alla riduzione fiscale. Questa è l’unica via praticabile. Però bisognerebbe avere il coraggio di dirlo al Paese, spiegando di quanto le imposte potrebbero diminuire per tutti se l’evasione fosse contrastata. Si tratterebbe anche di una misura equa perché livellerebbe i rapporti tra chi le tasse le paga e chi no.
Professore, un progetto quindi di una flat tax con due aliquote nei prossimi anni è di fatto da ritenere poco credibile?
Guardi, il punto è che il rischio di arrivare a un peggioramento significativo dei conti pubblici, quindi a un innalzamento dello spread, che poi si rimangerebbe i benefici economici della misura è molto alto. D’altronde questo è ciò che è successo nei mesi scorsi: l’effetto positivo sulla domanda di Quota 100 e reddito di cittadinanza è stato vanificato dall’aumento dello spread dello scorso anno, nel periodo precedente il varo della Legge di bilancio, che ha fatto crescere il costo del servizio del debito, e quindi il deficit.
Meglio piuttosto muoversi a piccoli passi come fatto con la flat tax per le partite Iva?
Io partirei dall’allargare questo provvedimento, sempre però restando in un range di rapporto deficit/Pil che eviti un aumento dello spread. Il problema è che oggi siamo ormai già arrivati a un deficit al 2,4% del Pil.
(Lorenzo Torrisi)