Il commissario europeo agli Affari economici, il francese Moscovici, ieri ospitato a Washington in un seminario del Peterson Institute, ha dichiarato che la Commissione “sta osservando l’Italia da molto vicino perché ci potrebbero essere ancora problemi”. Poi ha aggiunto che si deve “considerare la questione fiscale e che l’accordo con il Governo italiano deve essere rispettato specialmente sul deficit strutturale”. Ora, facciamo finta di dimenticarci che un Commissario europeo che dice che l’Italia è una possibile fonte di problemi sia neutrale rispetto all’evolversi degli eventi; facciamo finta, ma sappiamo tutti che non è così, perché i “mercati” comprendono benissimo che cosa significhino le “incomprensioni” tra un’istituzione a cui si è ceduto una grande parte della propria sovranità e un Paese membro. Le speculazioni in area euro non possono essere risolte senza la banca centrale e questo sia che si tratti di debito pubblico italiano o di banche tedesche o francesi. Queste dovrebbero essere ovvietà, ma non lo sono nemmeno dopo quanto osservato sul mercato del debito pubblico italiano nel 2012.



Torniamo però alla questione del debito dell’Italia, un Paese che da dieci anni ha un deficit costantemente sotto il 3% e in avanzo primario. Osserviamo con calma quanto successo sulla traiettoria del debito italiano negli ultimi dieci anni e ci accorgiamo di tre fatti: che dalla fine del 2011 al 2013, quando l’Italia veniva commissariata, il debito su Pil aumentava di quasi 13 punti percentuali in due anni, che un tale peggioramento è senza precedenti nemmeno in casi di crisi globali come Lehman Brothers e che in questi tre anni l’Italia si è disallineata in modo drammatico dalla traiettoria degli altri Paesi europei, in particolare della Francia, come mai accaduto. Significa che in Italia e solo in Italia è successo un evento eccezionale. Quello che è successo è il mix di speculazione finanziaria, non curata e non gestita, e di politiche fiscali restrittive che hanno determinato quello che tutti si aspettavano determinasse e cioè la recessione.



La cura del debito per tutti è crescita e buona inflazione. La domanda è come fare “crescita” in un Paese distrutto da due recessioni in cinque anni. La risposta passa anche per il rilancio della domanda privata e, soprattutto, pubblica, visto il contesto poco favorevole dell’economia globale. Significa che devono ripartire gli investimenti e i consumi e questo non può non passare da uno stimolo fiscale e da spesa in infrastrutture. In entrambi i casi questo si raggiunge facendo più deficit. Se l’Europa volesse collaborare alla ripresa economica italiana dovrebbe permettere che questo avvenga, con la copertura istituzionale, e incentivarlo. Nei fatti quello che è successo in Italia in quei due anni è, da un punto di vista meramente economico, del tutto assimilabile agli effetti di una guerra. Pensare in questa fase di recuperare quanto serve con la “spending review” in un sistema in ebollizione in molti parti d’Europa è letteralmente lunare; questo non per dire che la “spending review” non serva.



Il debito si cura con la crescita; per fare la crescita serve che ci siano nuove imprese e che quelle che ci sono diventino più grandi e assumano. Se gli investimenti sono bloccati perché tutti hanno paura il fattore esogeno può essere solo pubblico. Queste sono ovvietà per chiunque abbia letto anche solo mezzo libro di storia. Quando uno perde la guerra, nel caso italiano quella dell’integrazione europea o, se vogliamo, dell’ideologia del super-Stato europeo, se i creditori pretendono indietro i soldi senza lungimiranza da un Paese stremato aumentando le tasse, si generano sempre tragedie. Da noi, in Italia, come corollario è scomparso per intero un sistema politico.

Se la risposta dell’Europa alla malattia economica italiana è una politica di compressione dei salari con una politica fiscale mai espansiva, un’austerity perpetua con deficit che per il resto del mondo sono oltre il ridicolo, i mali dell’Italia non potranno mai passare; anzi, alla prossima crisi i problemi cresceranno esponenzialmente. Ma queste sono ovvietà che non si capisce davvero perché non passino in Italia e in Europa. O meglio, si capisce benissimo, ma bisogna uscire dai paletti della buona fede. Basterebbe confrontare la crescita prodotta dagli altri macro blocchi globali, la disoccupazione media e il loro deficit durante le fasi di crisi; o banalmente se abbiano mai anche solo lontanamente contemplato qualcosa di simile all’austerity europea.

Sono cose che non si devono dire altrimenti sarebbe troppo facile capire cosa sia stata e a cosa sia servita l’austerity in Europa. Anche oggi questo rimane il punto cardine con cui si gioca la competizione senza regole tra partner europei. D’altronde Francia e Italia non sono anche oggi in guerra, fisicamente, in Libia? Ma allora di cosa parliamo? Anche quando deliriamo di esperienze politiche comuni…