Il Fondo monetario internazionale ha lanciato, come suo dovere, l’allarme. Le istituzioni europee, stanche e stufe di diatribe con il Governo italiano e sperando che anche con il loro ausilio e puntando su qualche pedina ministeriale l’Italia si metta su un percorso migliore, lo hanno sussurrato. Se necessario, lo diranno apertamente tra qualche mese (quando Roma procederà all’approntamento della Legge di bilancio per il 2020). Hanno, però, cominciato a prendere misure appropriate. Il Governo – certamente il ministero dell’Economia e delle Finanze – lo sa. Non credo, però, che lo abbia pubblicizzato e posto al centro di un dèbat publique che la maggiore forza politica che sostiene l’Esecutivo – il Movimento 5 Stelle – proclama come strumento essenziale di democrazia.



Di che si tratta? Del “cordone sanitario”, o, se si preferisce un lessico più moderno, del “muro anti-incendio”, per impedire che una crisi finanziaria italiana tracimi nel resto dell’eurozona, o, ancora peggio, del mondo. Il germe della crisi potrebbero essere o il sistema bancario, che ha ancora molti elementi di debolezza (come documentato, tra l’altro, in un convegno organizzato in Senato dalla Fondazione Fare Futuro l’11 aprile), oppure – ed è ancora più probabile – il debito pubblico. Negli ultimi giorni, la stampa ha ampiamente riportato le analisi dello Studio Ambrosetti da cui si evince che lo stock di debito pubblico in rapporto al Pil ha raggiunto un livello (circa il 134%) che si toccava unicamente negli anni immediatamente successivi alle due guerre mondiali del Novecento. Lo ammette lo stesso Documento di economia e finanza, dopo che quattro mesi fa il ministro dell’Economia e delle Finanze aveva assicurato che nel 2019 ci sarebbe stata una piccola (una riduzione di un punto percentuale) ma importante inversione di rotta.



Dal quadro tendenziale del Def, si evince – basta fare quattro conti – che il fardello del debito crescerà anche nel 2020 e nel 2021, frenando la crescita e ponendo pesanti interrogativi agli investitori. Non solo lo spread resterà alto, e forse aumenterà ancora di più (altra pedalata sul freno di una possibile ripresa), ma gli operatori italiani e, soprattutto, stranieri potrebbero chiedersi se, pur con la prospettiva di rendimenti comparativamente elevati, vale la pena collocare i propri risparmi in titoli del nostro debito pubblico il cui rischio minaccia di aumentare. Tanto più che gli azionisti di maggioranza della coalizione sono in una lite continua, elemento che non assicura una gestione attenta del debito e che non può non innervosire coloro a cui si chiede d’investire nell’Italia.



In cosa consiste il “cordone sanitario” o, se si vuole, il “muro anti-incendio”? Chi non ha il tempo, la voglia o anche solamente le conoscenze tecniche, per leggere e studiare regolamenti europei, può trovarne una sintesi efficace nel sito dell’European Stability Mechanism (Esm), nella sezione in cui si espone in linguaggio piano il programma di cooperazione tra l’Esm medesimo e le altre istituzioni europee. La sintesi risale a metà novembre 2018, proprio al momento delle massime tensioni con l’Italia prima che Roma raggiungesse una “intesa” con la Commissione europea, “rivedesse” l’appena pubblicata “nota d’aggiornamento del Def” e scrivesse di nuovo, da cima a fondo, la Legge di bilancio per il 2019. La tempistica è un significativo indizio che allora Roma fosse in cima alle preoccupazioni delle istituzioni europee.

Il programma prevede una stretta collaborazione tra Esm, Banca centrale europea e Commissione in caso che uno Stato dell’eurozona si trovi in una crisi finanziaria tale da poter mettere a rischio la stabilità dell’area dell’euro. Tuttavia, gli Stati che possono avere accesso al programma devono avere due caratteristiche: a) essere in linea con trattati e accordi intergovernativi europei (l’Italia non lo è); b) avere un debito pubblico “sostenibile” (si può discutere se quello dell’Italia lo sia o meno, ma se scoppia una crisi indubbiamente non lo è). Il programma contempla un Memorandum of Understanding (MoU) su politiche e misure, credito illimitato per superare la difficoltà e un monitoraggio accurato da parte delle istituzioni europee.

Il programma è chiaramente diretto a Paesi deboli, appena usciti da difficoltà finanziarie, come Spagna, Portogallo, Irlanda, Belgio, Grecia, Cipro che potrebbero essere messi a rischio da un’eventuale tracimazione di una possibile crisi del debito pubblico.

A pensare male si fa peccato. ma – come diceva Giulio Andreotti – ci si azzecca. Il silenzio dei (non tanto) innocenti induce a credere a questa interpretazione.