«Il rendimento decennale si attesta a un 3,73% e – in ottica di breve termine – potrebbe ridursi ulteriormente». Il sottostante oggetto di commento era quello recentemente emesso dalla Grecia per un importo pari a 2,5 miliardi di euro. Oggi, a distanza di qualche settimana dall’indicazione, il rendimento dei bond ellenici a 10 anni ha raggiunto valori che non si vedevano da oltre 14 anni: 3,27%. Sul mercato obbligazionario, come ovvio, a una discesa di rendimento corrisponde un incremento dei corsi e viceversa: nel caso del titolo di stato greco del marzo scorso, si registra un incremento significativo in poco più di un mese con scambi sul mercato che vedono prezzi attorno ad area 104,80 rispetto al 99,796% in sede di emissione.
La notizia che giustifica questa rivalutazione e, al tempo stesso, ha favorito l’interessamento degli operatori, è riconducibile a un possibile rimborso anticipato di parte del precedente finanziamento accordato dal Fondo monetario internazionale. La somma che Atene vorrebbe riconoscere al Fmi è di circa 3,7 miliardi ovvero la medesima che troverebbe ulteriore rimborso nei confronti dell’Esm: quest’ultimo sembra però intenzionato a rinunciarvi.
Di fatto, attraverso questa operazione, la Grecia risparmierebbe sul costo del finanziamento concesso: l’attuale interesse annuo che viene corrisposto ammonta a circa il 5%, ossia un valore percentuale rilevante rispetto ai tassi di mercato. Si tratta di una vera e propria gestione della propria tesoreria che trova la propria valenza (oggettiva) negli attuali numeri. Alleggerendo per quasi un terzo la somma complessivamente “a debito” nei confronti del Fondo monetario internazionale, molti osservatori sottolineano come sia poi necessario emettere ulteriori bond al fine di poter colmare l’esborso monetario. A tale view – chi scrive – si associa concordandone pienamente le finalità e i motivi finanziari che ne obbligano il fabbisogno di cassa.
L’evidenza riportata sul decennale ellenico implica – di fatto – un’analisi più profonda in ottica di debito sovrano tra i cosiddetti paesi “fanalino di coda” dell’area euro. Se nel precedente intervento ci si soffermava sui “cento punti” (pochi) di differenza tra i valori dello spread greco (contro Bund) e quello italiano, tale forchetta, oggi si è ampiamente ristretta a 71 punti base. È interessante soffermare l’attenzione sulla dinamica dell’andamento dei valori di rendimento: una decorrelazione perfetta tra le due piazze finanziarie.
Prendendo in esame il periodo in cui il benchmark italiano ha registrato il proprio minimo a 1,042% (agosto 2016) si osserva chiaramente come, rispetto al sottostante ellenico, si sia potuto concretizzare sul mercato un maggior interessamento sui titoli ellenici rispetto a quelli domestici. Lo scorso ottobre il nostro Btp registrava il proprio picco massimo a 3,686% rispetto al 4,435% del decennale greco.
Siamo prossimi a importanti appuntamenti economici e finanziari, ma ancor più di natura politica. Il quadro che sembra emergere dal mercato è quello di un potenziale ridimensionamento del differenziale tra il nostro Paese e la stessa Grecia. Qualora ci fossero nuove emissioni da parte di Atene è plausibile assistere a uno switch di portafoglio sui questi ultimi dove, con molta probabilità, si contabilizzerà per un complessivo yield to maturity più contenuto rispetto al recente passato. Sulla base di questi elementi è opportuno privilegiare un approccio ancor più difensivo in caso di acquisto di titoli di stato italiani.
Dal punto di vista dell’investitore (e investimento) obbligazionario, “l’attesa” equivale a un mancato rateo di interessi: nessuna obiezione. Vista l’attuale situazione, ciò che conta, si traduce nella più accurata gestione del cosiddetto timing anche se si tratta di un investimento meno volatile rispetto al più caratteristico azionario.
La prudenza è doverosa e pertanto si ritiene più opportuno privilegiare la valutazione del trade off tra perdita potenziale in conto capitale (per coloro che detengono già il titolo) e opportunità di acquisto (in caso di futuro posizionamento).
Attendere non significa immobilismo, ma – il più delle volte – è sinonimo di strategia. Noi, attendiamo.