Le parole pronunciate da Giovanni Tria sulle clausole di salvaguardia hanno fatto partire una serie di dichiarazioni sull’aumento dell’Iva da parte del mondo politico. Che la questione delle clausole di salvaguardia sia politica ne è convinto anche Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, seppur in termini diversi da quelli che siamo abituati a pensare: «Le clausole di salvaguardia, che nascono con Tremonti, sono una sorta di cerino acceso che viene trasmesso da un governo all’altro fino al punto in cui qualcuno si scotterà. Questa questione del cerino rispecchia un problema più fondamentale, un problema politico nel senso dell’interpretazione che viene data e che viene accettata in Italia. Noi abbiamo un Prodotto interno lordo intorno ai 1.800 miliardi di euro, ma ci si dimentica che abbiamo tutte le ragioni per credere che potrebbe essere più alto almeno del 10%: un valore che coprirebbe ampiamente quello delle clausole di salvaguardia».
Sta di fatto che quelle clausole sono state inserite nella Legge di bilancio e se ne parla anche nel Def…
I governi che si sono succeduti hanno messo in atto politiche inadeguate, secondo anche indicazioni esterne, approvando anche l’articolo 81 della Costituzione, con tutti gli effetti che questo comporta. La forma più brutale della medicina amara è stata sperimentata con il Governo Monti. E questo ha contribuito a mettere in ginocchio definitivamente l’economia italiana, che dal 2008 a oggi non ha più avuto cicli, è entrata in una fase strutturale di crisi permanente. Il paradosso è che dopo aver sperimentato la cura Monti, adesso se si alzeranno i prezzi, a seguito dell’aumento dell’Iva, avremo una caduta non marginale della domanda interna che molto probabilmente cancellerà quel poco di positivo, di crescita economica del 2019. A quel punto saremo di nuovo in recessione.
Professore, non è che non facendo scattare le clausole di salvaguardia avremmo una crescita del Pil del 10% come quella di cui ha parlato. Come facciamo a raggiungere un risultato del genere?
Occorre investire. Siamo un Paese perennemente terremotato, dove non si fa manutenzione, abbiamo bisogno di investimenti materiali e immateriali, a partire dalla scuola. In una situazione di questo genere io vedo un’unica via d’uscita.
Quale?
Chiedere che in modo strutturale o straordinario le spese per investimenti vengano scorporate dal deficit. Altrimenti non ne veniamo più fuori, entriamo in recessione e ci restiamo. Abbiamo bisogno di investimenti e di fare in modo che le fasce veramente deboli di questo Paese trovino una voce caritatevole e non questa postura medievale che parla di spese assistenziali come se fossero usate per andare in vacanza immeritatamente, quando abbiamo fenomeni come quelli emersi in questi giorni: persone che si fanno spaccare le ossa per poche centinaia di euro.
L’alternativa di cui si parla in questi giorni è disinnescare le clausole di salvaguardia tagliando delle spese oppure fare degli aumenti selettivi dell’Iva, per non colpire le classi sociali più deboli. Cosa ne pensa?
La spending review italiana è quella che ci ha ridotto in questo stato. Non è stato fatto quello che si dichiarava di voler fare, cioè rendere più efficiente la spesa. L’errore che temo che si commetterà sarà quello di varare forme edulcorate di aumenti dell’Iva o selettivi, dimenticando che comunque il rialzo dell’Iva è un richiamo della foresta per l’evasione. Io mi domando: come si fa a chiedere a un Paese di entrare in recessione? Sia che aumentiamo l’Iva, sia che troviamo coperture, attraverso tagli alla spesa pubblica, noi entreremo in recessione. Vogliamo evitarla oppure dato che in tedesco per la parola debito si usa lo stesso vocabolo di peccato il popolo italiano deve scontare i peccati della classe dirigente politica ed economica?
Se dobbiamo fare i conti con le clausole di salvaguardia e non possiamo scorporare gli investimenti dal deficit è per via dell’ottusità europea o per l’incapacità della nostra classe politica?
Tutte e due. Da parte nostra c’è una mancanza di rispetto della legge, delle regole impressionante. È chiaro che Bruxelles, di fronte a una proposta fatta da una classe dirigente come la nostra, ha una facile obiezione: siete un Paese corrotto. Quindi servirebbe realmente onestà, anche se è un termine che politicamente è stato fin troppo abusato. A quel punto sì che si potrebbe aprire uno spiraglio, potremmo anche trovare sponde inattese. D’altro canto Bruxelles sembra non capire che la nostra situazione è di una crisi strutturale talmente forte che non può non avere effetti sull’intera Europa. L’Ue a non va avanti buttando fuori l’Italia in modo diretto o indiretto, come per esempio si vuol fare parlando di Europa a due velocità.
Si dice anche che i mercati contino più della politica…
I cosiddetti mercati possono scommettere sullo spread. Ma nel momento in cui l’economia cresce, lo spread scende. Se il debitore promette bene, con la sua dinamica produttiva di crescita, significa che può avere le risorse per ripagare il debito: questa è la vera garanzia. E poi la Bce può fare qualcosa. Abbiamo visto già che nel 2012 Monti non aveva risolto il problema dello spread: è stato Draghi, presentando ai mercati la Bce come prestatore di ultima istanza, a far scendere lo spread.
(Lorenzo Torrisi)