Il Governo italiano in questi giorni si sta impegnando a cercare investitori disposti a investire circa un miliardo di euro in Alitalia per concludere il piano di salvataggio. Secondo le ricostruzioni pubblicate dalla stampa italiana, negli ultimi giorni il Governo avrebbe sondato Atlantia per proporre di partecipare al piano con circa 300 milioni di euro; il gruppo però non sarebbe disponibile visto l’attuale livello di conflittualità con l’esecutivo, sia per le note vicende del ponte di Genova, sia per i tentativi del Governo di modificare le regole per i concessionari autostradali italiani.
L’Italia non ha offerto esempi luminosi negli ultimi due decenni in termini di politica industriale sui trasporti. Lo stato in cui versa la compagnia di bandiera è sicuramente un male per la competitività italiana. I collegamenti internazionali diretti tra Italia e resto del mondo sono i peggiori rispetto a ogni altro Stato europeo di dimensioni simili; negli altri Paesi europei questi collegamenti sono garantiti dalla compagnia di bandiera, mentre per arrivare in Italia per esempio dal Nord America, ancora oggi di gran lunga la tratta più ricca del globo, bisogna fare uno scalo. È un handicap per il sistema Paese, soprattutto per il turismo, e un vantaggio per le compagnie di bandiera europee che, giustamente, guadagnano su questa debolezza alimentando compagnie e hub che stanno a nord delle Alpi.
Sempre in Italia, dopo due recessioni in cinque anni e con la peggior performance economica d’Europa dopo la Grecia, i due principali gestori autostradali hanno fatto shopping all’estero. Atlantia ha comprato il principale competitor franco-spagnolo per cassa, con un premio consistente sui prezzi di borsa e senza che un fondo di private equity sventolasse almeno per qualche giorno una bandiera di rappresentanza provando a rilanciare. In un business che strutturalmente ha tanta leva, dove private equity e fondi strutturali hanno il vantaggio competitivo del costo del debito, dovrebbe essere sospetto. L’Italia ha gli operatori autostradali più ricchi del globo. Dall’altra parte di questo spettro ci sono larghe fasce di popolazione del Nord Italia che non si possono permettere alcune tratte autostradali, per esempio, per l’uso quotidiano. È uno svantaggio competitivo per le imprese, si intasa la viabilità ordinaria e inoltre si devono fare valutazioni sulla lunghezza della gita fuori porta che si potrebbero e dovrebbero evitare.
Decidere quanto e come far pagare le autostrade è una scelta di politica industriale. Se costano troppo a rimetterci sono le imprese. La Spagna, con un’economia che un giorno sì e l’altro pure viene citata ad esempio, ha annunciato che la gestione delle concessioni scadute tornerà allo Stato con decrementi dei pedaggi del 30%. Siccome i costi di gestione pesano in media per circa il 30-40% della tariffa si capisce che il resto, tra tasse e profitti del concessionario, è materia di politica industriale e politica fiscale.
È noto, per esempio, che uno dei riflessi della “new economy” è l’aumento del traffico pesante su autostrada visto che organizzare produzioni in più stabilimenti è molto più facile. Noi non abbiamo una preferenza spiccata per il gestore pubblico o privato, però è evidente che i rendimenti concessi ai concessionari italiani sono stati molto, molto alti, sicuramente rispetto a un business che nei fatti è senza rischio, e che il conto lo paga ancora oggi il “sistema Paese”.
Non possiamo dimenticare che la nuova concessione e le nuove tariffe nell’aeroporto di Fiumicino sono costate ad Alitalia negli ultimi cinque anni diverse centinaia di milioni di euro, cumulati, in extra costi. Decisamente significativo per un gruppo che già non andava benissimo.
In questi giorni si specula di uno scambio tra Governo italiano e Atlantia con il primo pronto a “concedere” la fine delle ostilità e il secondo a dare 300 milioni ad Alitalia. Giusto per dare un ordine di grandezza, Autostrade per l’Italia genera un reddito operativo di circa due miliardi e mezzo di euro ogni anno.
All’Italia servono collegamenti aerei internazionali diretti perché nella situazione attuale il sistema ha un enorme svantaggio competitivo, all’Italia serve un sistema autostradale efficiente, sicuro, ben manutenuto e che possa essere usato da tutti a costi ragionevoli in modo da favorire le imprese e non intasare le strade urbane. Pensiamo che in certi Paesi europei l’utente “quotidiano” arriva ad avere sconti del 50%. Se il problema non viene posto nella sua interezza e non sono chiare le questioni e gli obiettivi, il rischio è quello di sprecare un dibattito che è potenzialmente positivo e risolverlo con uno scambio di bassissimo livello che non sposta niente.
Garantire i “diritti dei concessionari” al costo di ammazzare l’economia che li ospita non è un approccio particolarmente lucido, esattamente come non è lucido dare un calcio al barattolo della compagnia di bandiera, senza un piano industriale all’altezza, lasciando tutti i problemi, veri e reali, della politica dei trasporti in Italia sul tavolo.