Mancano pochi giorni alla diffusione dei tanto attesi numeri contenuti nel Documento di economia e finanza a firma del Governo giallo-verde. Se tutto venisse confermato – il Def – vedrebbe la luce entro il 10 aprile. Ma le sorti di questo importante appuntamento potrebbero mutare e avere esiti diversi. Motivo di un possibile slittamento sono i dati che, giorno dopo giorno, vedono arretrare la nostra economia e, nonostante l’entusiasmo dei suddetti firmatari, non trovano (purtroppo) riscontro con le risultanze riconducibili ai precedenti periodi di osservazione.
Ieri sono giunte le considerazioni da parte dell’Istat. L’Istituto ha rivisto il dato sul deficit/Pil relativo al terzo trimestre 2018: dal precedente 1,7% si è passati oltre quota 2% ovvero a 2,2%. La stima per l’intero anno è rimasta confermata al 2,1% come già in precedenza annunciato (marzo). Dalla lettura del rapporto si apprende un’anticipazione: “L’impatto delle modifiche in rapporto al Pil sarà marginale in termini di stima dell’indebitamento netto e contenuto per quel che riguarda il debito pubblico”. Una considerazione che deve imporre una riflessione a tutti i decisori coinvolti nella stesura del prossimo documento economico finanziario relativo al nostro paese.
Altra importante e doverosa sottolineatura è da ricondurre al fronte dell’indebitamento netto: “nei quattro trimestri del 2018, le AP (Amministrazioni Pubbliche) hanno registrato un indebitamento netto pari al 2,1% del Pil, in miglioramento rispetto al 2,4% del corrispondente periodo del 2017. Nel 2018, il saldo primario è risultato positivo con un’incidenza sul Pil pari all’1,6% (1,4% nel 2017)”.
Nota dolente il dato sul debito pubblico: raggiunta la quota record a 132,1% del Pil rispetto a quanto fatto registrare nel 2017 (131,3%). Il significativo ammontare, se raffrontato al solo dato annuale, potrebbe di certo preoccupare, ma, ancor più preoccupante e probabilmente scoraggiante, è il confronto fatto con il valore stimato dall’esecutivo che lo collocava a 131,7%. Si tratta di “decimali”, ma, per quanto tali, l’intero valore deve sollevare un dibattito (nuovo) all’interno della maggioranza in ottica di imminente Def.
Per quest’ultimo, le possibili soluzioni, sono essenzialmente due: o si procede a un opportuno ridimensionamento delle precedenti stime (più coerenti con la nostra realtà) – oppure – si è prossimi a un rischio di ulteriori prese di posizione (a nostro sfavore) da parte dei numerosi spettatori esteri che assistono a questo surreale presente italiano.
Nel corso degli ultimi mesi abbiamo assistito a una costante cronaca economica/finanziaria che pone il nostro Paese in una situazione di innegabile difficoltà. Sono troppi gli elementi a nostro sfavore emersi nei vari dibattiti. Sono molte le negoziazioni alle quali abbiamo dovuto pazientemente sottostare. Sono ormai costanti i compromessi ai quali dover far fronte con risultati, il più delle volte, a noi poco soddisfacenti e, nonostante l’insorgere di queste difficoltà, si è sempre tramutata la sconfitta in una vantata pubblica vittoria.
L’Italia vuole cambiare e al cambiamento si è arrivati: il cambiamento (ci è stato detto) è cominciato. Mancano però i risultati o quanto meno stentano ad arrivare (come promesso). È vero: occorre tempo, è ovvio. Ma nessuno ha mai chiesto e imposto velocità nel raggiungimento degli obiettivi promessi. Tutto questo l’abbiamo semplicemente ascoltato, passivamente. Il tempo dell’attesa è ormai giunto al proprio naturale termine: scopriamo le carte, quelle vere. Il bluff non è più permesso. Dimostriamo il vero valore. Dimostriamo la sostanza e non la forma. Dimostriamo quello che veramente sappiamo fare e facciamolo.
Andiamo al punto: andiamo alla verità, la nostra verità, e non più a quella imposta dagli altri sempre pronti a giudicare (negativamente). La verità, semplicemente questa: perché più facile da ricordare.