La Confindustria ha reso pubbliche le sue stime sull’andamento dell’economia italiana; si afferma che avremo una forte riduzione della crescita, ma sempre di crescita si tratta. All’organizzazione imprenditoriale hanno fatto subito da corollario le società private di rating per stigmatizzare in senso negativo la situazione. Sono poi seguiti confronti con altri Paesi per avallare la bontà delle analisi stesse.
Vorrei richiamare l’attenzione sulla necessità di focalizzare il quadro di riferimento. L’Italia è un territorio che è stato caratterizzato da un’immigrazione incontrollata di massa, il che ha tenuto alto il dato della crescita dei suoi abitanti, mentre il blocco degli arrivi indiscriminati ci pone ora in una situazione completamente diversa. Nel primo caso, infatti, il Pil andava ripartito su un numero crescente di soggetti e, siccome il denominatore era più alto, il rapporto si riduceva; nel secondo, invece, al dichiarato valore crescente del Pil corrisponde un valore regressivo della popolazione, incidendo positivamente sulla ricchezza individuale. Se non si tengono presenti questi dati, ogni analisi si presenta fallace e può essere utilizzata a scopi contrari al bene comune.
Per allargare l’orizzonte vorrei richiamare l’attenzione su alcune popolazioni che proseguono indefessamente nel condurre la solita vita quotidiana senza preoccuparsi tanto dei danni che noi, occidentali progrediti, anche inconsciamente possiamo loro provocare. Mi riferisco a popolazioni indigene come quelle dell’Amazzonia o agli esquimesi; vorrei tanto che le società di rating cominciassero a dirci qualcosa sul Pil di queste aree.
Intanto noi, nella frenetica corsa al benessere, inondiamo di plastica i mari, di nanoparticelle i cieli, di metalli i nostri corpi. Quindi non si tratta di corsa al benessere, ma di tutt’altra cosa: occorre mettere mano alla modifica del quadro giuridico per premiare il buonsenso e condannare la manipolazione della realtà.
L’analisi economica, se vogliamo che sia corretta, deve avvalersi di un vero ausilio matematico, tenendo conto di tutte le variabili; solo così i dati non subiranno interpretazioni fallaci. L’ausilio matematico, per gli appassionati, è paragonabile all’ascolto della musica: se si sbaglia nota, ci si accorge della stonatura.
Da quando ci hanno voluto ficcare in quest’Europa e nel suo euro non c’è più armonia nei numeri e nelle interpretazioni. La causa è proprio lì, nel prestare il denaro creato dal nulla, pretendendo che il debitore debba restituire il prestito maggiorandolo di un importo, gli interessi, che non sono stati emessi: ci troviamo di fronte a pura usura. E questo né la Confindustria, né le società di rating lo mettono in risalto; è semplicemente una verità matematica, ma anche intuitiva, che viene tenuta nascosta dalle istituzioni, dai media, dalla magistratura, dalla Bce, dalla Banca d’Italia…
E’ un silenzio sospetto che genera partite impagabili e che in Italia vengono maggiorate dal demonio dello spread; il solo spread corrente (250-255 punti) maggiora gli interessi per 110 miliardi di euro annui sui debiti in essere; figuratevi a quanto ammonta la pressione totale degli interessi passivi sulla produzione reale determinata dall’utilizzo dell’euro, una moneta straniera incentrata sull’indebitamento del prenditore.
Con una semplice bacchetta magica, trasformando l’euro in una moneta emessa a credito, il solo spread accrescerebbe l’economia della cifra suddetta e nel bilancio statale ci sarebbero minori uscite per una buona metà di tale importo.