I numeri difficilmente mentono. Possono essere diversamente interpretati, ma – la loro sostanza – non muta significativamente, soprattutto se segue una tendenza ben definita e ormai chiara. Nel nostro Paese, la “notizia” che appare (e apparirà) evidente nelle ultime e prossime ore, è essenzialmente legata al nuovo livello raggiunto dallo spread. Nel corso delle ultime 24 ore si sono rivisti livelli che ci riportano allo scorso febbraio. Le motivazioni che possono sottostare a questo incremento sono molteplici, ma – di certo – la trade war in essere tra Stati Uniti d’America e Cina è l’ultimo dei nostri problemi. E mai come in questa occasione si può, e si deve, parlare di veri e propri soli “nostri problemi”. Altro non sono.
La giornata di ieri si è caratterizzata per un differenziale tra il nostro Btp decennale e quello tedesco pari a 285 punti base in chiusura (massimo intraday oltre 290) e con un rendimento attestato a quota 2,75%. Un valore – quest’ultimo – ormai prossimo alla soglia psicologica del 3%: un critico ammontare in termini di remunerazione che lo Stato si troverebbe a corrispondere a tutti i creditori in possesso dei nostri titoli. Se a tali livelli si è arrivati, un motivo, anzi i motivi, ci sono: sono molti e tutti di natura solo nostrana. Tutti inseriti e contestualizzabili nelle nostre “quattro mura domestiche” al pari di un contesto famigliare.
Come spesso accade, è bene tralasciare il merito o demerito delle singole parti che vedono contendersi il loro primato e – fortunatamente – nel mondo finanziario ci viene in aiuto un terzo soggetto; un vero e proprio arbitro sopra le parti che, insensibilmente, osserva, agisce, ed emette il proprio giudizio: sempre corretto e veritiero. Questo giudice è il mercato. E come tutti sanno (o dovrebbero sapere), il mercato ha sempre ragione.
E proprio dal mercato, attraverso i suoi attori, le prime avvisaglie sono arrivate (scritte) in tempi non sospetti. Dallo scorso febbraio, le indicazioni di un possibile ritrovato slancio verso una nuova crescita dello spread erano già nell’aria. Si tratta di dichiarazioni aperte, senza ombra di fraintendimento, al pari dei “numeri” che la stessa finanza crea, modifica, aggiorna, e soprattutto divulga, ogni giorno.
Assiom Forex, in collaborazione con il Sole 24 Ore Radiocor, predispone mensilmente un proprio sondaggio tra i suoi associati. Dalla consultazione dei singoli responsi, si può riscontrare come – in materia di spread – la percentuale degli intervistati abbia visto un significativo incremento in tutti coloro che “intravvedevano” un valore compreso tra i 250 e i 300 punti base. Si è passati dal 15% di febbraio, al successivo 28% di marzo, fino a giungere al 52% del recente aprile. Una vera e propria tendenza al rialzo. Di segno opposto, e pertanto contraddistinto da una “trendline ribassista”, è invece l’andamento dei più ottimisti: a febbraio il 58% degli intervistati quantificava un valore di spread tra i 200 e i 250 punti base. A marzo, la percentuale degli stessi interessati scendeva a 57% fino a capitolare al 34% nel corso del mese appena trascorso.
Andamenti opposti e contraddistinti da una marcata correlazione negativa tra i due trend. La medesima che, negli ultimi due mesi, si è potuta registrare sugli stessi andamenti dei rispettivi rendimenti associati ai titoli decennali nazionali oggetto di differenziale finanziario. A marzo, il rendimento del Bund si attestava ad area 0,1220%, mentre per il sottostante domestico si registrava un 2,454%. Da allora, come appare ormai evidente, si è potuto assistere a un significativo incremento di quest’ultimo rispetto a un opposto andamento del teutonico strumento che, tornando nuovamente a valori negativi, ha di fatto contribuito maggiormente a enfatizzare la differenza tra le due realtà europee.
Volutamente si vuole tralasciare ogni tipo di commento a questo attuale epilogo: le prossime ore si caratterizzeranno per i numerosi dibattiti dove saranno menzionati tutte le cause, ovviamente note: sempre note, dopo. Ciò che invece si vuole sottoporre all’attenzione del lettore è semplicemente come il mercato – e i suoi operatori che quotidianamente lo rappresentano – anche per questa volta ha avuto ragione, prima. I numeri non mentono. Mai.