La ragione più profonda e autentica dell’”attacco a Bankitalia” strillato da Repubblica sabato mattina sta nell’editoriale di Eugenio Scalfari sotto il titolone, sulla stessa prima pagina. Un commento inusuale, quello del Fondatore, fuori dalla scansione degli abituali “sermoni” domenicali. Un’uscita probabilmente non estranea alla sostituzione di Mario Calabresi con Carlo Verdelli alla direzione, maturata in settimana e poco gradita da Scalfari.



Il merito del column è in ogni caso dedicato all’”indipendenza del Governatore”: forse il cavallo di battaglia più longevo e collaudato del 94enne Fondatore di Repubblica. Pochi possono ormai ricordare “Bancor”: che compariva sulla prima-lenzuolo dell’originario Espresso negli anni ‘60. Gli articoli erano allora un faro unico sull’attualità politico-economica dell’Italia del tardo boom, impegnata nella svolta di centro-sinistra mentre all’orizzonte già s’intravvedevano le crisi economiche e sociali di fine-dopoguerra. Temi e linee di quelle analisi venivano da Guido Carli, nominato Governatore nel 1960. L’estensore era invece il giovane Scalfari: che proprio all’Espresso stava maturando il definitivo passaggio dalla dirigenza editoriale al l’impegno congiunto di giornalista e parlamentare.



Non può quindi non colpire che – più di mezzo secolo dopo – Scalfari prenda le mosse della sua denuncia con queste parole: “Ho avuto ieri un’ampia discussione sulla situazione economica del nostro Paese in un momento estremamente delicato con il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco”. “Bancor” non c’è più (Carli è morto già da venticinque anni), ma quel singolare caminetto è evidentemente ancora acceso. È però cambiato il rapporto fra i due esclusivi conversatori. Vi sono pochi dubbi che sia stato il più giovane Governatore, stavolta, a sollecitare il soccorso del venerabile Giornalista.



Il Governatore non è più l’autorevole, prestigioso e carismatico Carli: il “pilota automatico” dell’economia italiana; il suggeritore ascoltato di qualsiasi governo della Prima Repubblica; l’amico personale di Enrico Cuccia e dei fratelli Agnelli; il mediatore interno fra finanza cattolica e laica e quello esterno fra Italia e Resto del Mondo sugli oceani tempestosi delle valute; l’uomo di establishment capace di vestire i panni di presidente di Confindustria versus il sindacato di Luciano Lama oppure di ministro del Tesoro in un Governo Andreotti per varare la riforma bancaria.

Visco è il governatore di una Banca d’Italia non più autonoma da tempo, dopo che la Bce (oggi guidata dall’italiano Mario Draghi) ha assommato sia le responsabilità di politica monetaria che di vigilanza bancaria. Ancora: Visco è il governatore approdato al vertice di via Nazionale nel 2011 dalla mediazione difficile e debole per il dopo-Draghi (il vero candidato interno era il direttore generale Fabrizio Saccomanni, stoppato da Giulio Tremonti che dal Mef spingeva Vittorio Grilli). È stato riconfermato nel 2017 dopo l’esplosione di una crisi bancaria interna che ha messo nel mirino proprio la vigilanza nazionale: il Pd di Matteo Renzi – al Governo – avrebbe voluto cacciare Visco, salvato solo dalle maniere ruvide del Quirinale, spalleggiato da Francoforte. Al Governatore non è invece stata risparmiata la graticola della commissione parlamentare d’inchiesta voluta dal Pd e approvata da M5S pochi mesi prima del voto politico.

Gli stessi M5S hanno ora riaperto le ostilità bloccando verso palazzo Koch la conferma del vicedirettore generale Luigi Federico Signorini, in passato responsabile della vigilanza creditizia E’ accaduto – in Consiglio dei ministri – poche ore dopo la nomina a presidente della Consob di Paolo Savona: un economista ed ex alto dirigente di Bankitalia che più di chiunque rivendica la discendenza diretta dalla scuola di Carli. E che difficilmente rinuncerà a interpretare un ruolo dialettico e antagonista verso la Bankitalia di Visco (e quindi anche quella del predecessore Draghi, in scadenza in Bce e in possibile rientro sulla scena politica italiana). E una commissione d’inchiesta-bis è una carta già messa sul tavolo da M5S per una possibile “fase due” della legislatura.

Sarebbe stato davvero strano non vedere il vecchio Bancor ridiscendere in trincea per difendere ciò che resta del “potere fortissimo” della tecnocrazia Bankitalia, storicamente fusa con gli establishment finanziari internazionali e con gli ambienti politici lib-lab. Chissà come andrà a finire.