Ora vedremo se anche questa volta, come al solito, mi sbaglio. Ora vedremo se quello spread piantato in area 290-310 come se ci fosse una regola non scritta di qualche divinità del mercato, farà un sussulto. In positivo o in negativo, poco importa: ciò che conta è poter dire, “eppur si muove”, come novelli Galileo. E signori, non mi riferisco certo all’assoluzione di Virginia Raggi, quando faccio indirettamente riferimento a un evento catalizzatore di tal genere: anche i sassi sapevano che sarebbe andata così, negli ultimi giorni. E sono felice per lei, perché per quanto totalmente incapace di amministrare, proprio questa sua incompetenza fa di lei il sindaco perfetto per Roma, la quale versa nello stato di decadenza assoluta attuale da almeno quindici anni, quando ancora io la frequentavano per lavoro e ci vivevo tre, quattro giorni la settimana. Quindi, piano con i crucifige: Roma è ontologicamente ingestibile perché specchio dell’Italia, non per colpa della “zarina”, come qualcuno l’ha definita durante le fasi del dibattimento. No, a poter muovere potenzialmente le acque, è la scadenza temporale prevista per domani, ovvero la deadline per la risposta del Governo alla Commissione Ue sulla manovra: nei fatti, la letterina con la quale a Bruxelles fingono di attendersi un cambio di rotta rispetto al deficit e che, invece, al 99% giungerà a destinazione con la riproposizione pedissequa di quanto annunciato finora.



Intendiamoci, è tutta un’enorme farsa, ma, quantomeno, un sobbalzo dello spread – per quanto innocuo nel breve periodo, poco più che un atto simbolico – ci dimostrerà o meno la validità della mia tesi: ovvero, i nostri Btp sono come i titoli di Stato giapponesi. Morti, illiquidi, senza volume: li compra solo la Bce. E le nostre banche, tanto per sostenerne il prezzo, avendone ancora a badilate nei bilanci. E, a tal proposito, venerdì scorso sono usciti i dati aggiornati di Bankitalia: stando ai dati diffusi dal nostro Istituto centrale, a settembre, il controvalore di titoli di Stato italiani detenuto dalle banche residenti in Italia è aumentato, riprendendo il trend in corso da sette mesi prima del calo registrato ad agosto, a 369,3 miliardi di euro dai 364,6 miliardi del mese precedente. L’analogo dato Bce, diffuso lo scorso 24 ottobre, indicava un rialzo del portafoglio di titoli di Stato italiani detenuti dalle banche residenti a 378,8 miliardi di euro dai 374,6 miliardi di agosto. Insomma, i poteri forti – quelli che a detta della narrativa 5 Stelle starebbero facendo guerra senza quartiere al “Governo del cambiamento” – hanno garantito sostegno al nostro debito, proprio in piena fase di entrata in rotta di collisione con l’Ue sul Def. Strani poteri forti, non c’è che dire.



Avrò ragione o torto? Poco importa, in realtà. Almeno dal punto di vista generale, lo specifico resta giustamente accantonato in un angolo di fronte a scenari ben più ampi. I quali prevedono ormai un attivismo della Bce post-Qe quasi per tutti gli osservatori: prima il Corriere della Sera, sabato La Stampa. Una fra le due opzioni di cui vi parlo da tempo – la versione europea di Operation Twist con swap sulle scadenze più brevi dei titoli detenuti dal’Eurotower o nuove aste Ltro per finanziare direttamente la banche – è ormai vista come ineluttabile anche dalla cosiddetta “stampa autorevole”, quella – per capirci – che ancora vi vende acriticamente il grande boom dell’economia Usa e che ha scoperto l’abuso di buybacks come architrave dei record di Wall Street solo l’altro giorno.



Addirittura, La Stampa azzardava anche la data per la prima asta di rifinanziamento a lungo termine, il prossimo giugno. Signori, fino a giugno alcune banche apparentemente sane dell’eurozona non reggono: se si farà, sarà fra marzo e aprile, al massimo. Perché attenzione, la situazione è davvero seria. Ovviamente, però, l’operato di straordinaria efficacia di questo Governo in qualità di “utile idiota” della situazione sta gettando tutto lo sporco europeo sotto il tappeto, facendo convergere tutta l’attenzione sul nostro deficit e sul nostro spread, quando il problema è generale. E ben più ampio e sistemico: alla faccia del denaro a pioggia ottenuto, le banche dell’eurozona gridano di dolore, la liquidità comincia a scarseggiare, i bilanci – al netto dei magheggi da stress test – sono da mani nei capelli. Altrimenti, perché servirebbero nuove Ltro, ipotesi che ormai circola apertamente e che la Bce non ha mai smentito, nemmeno attraverso le famose “fonti anonime” che non lesina mai di utilizzare, quando occorre spifferare qualche rumor ai mercati?

Ecco perché è importante capire se lo spread, in qualche modo, reagisce all’appuntamento di domani: è il classico colpo di martelletto del medico appena sopra il ginocchio, per vedere se il paziente ha ancora riflessi da stimolare o se ci troviamo di fronte a un danno neurologico serio. Perché signori, venerdì abbiamo avuto la riprova di una situazione quantomeno edulcorata: la risposta del ministro Tria alla revisione autunnale dei bilanci delle autorità europee, in condizione di normalità politica dei mercati, avrebbe visto il nostro spread schizzare ben sopra quota 300 e lì piantarsi, fino all’eventuale intervento calmante della Bce o delle banche operanti su suo mandato, più o meno esplicito. Invece, ha pascolato avanti e indietro in una range di nove punti base, salvo chiudere a 301. Di fatto, invariato rispetto al giorno prima. La conferma dell’anomalia in atto? Ce l’ha offerta, indirettamente, la sera stessa di venerdì un proxy decisamente poco ortodosso: Maurizio Crozza. Come si sa, storicamente i comici, i giullari di corte, erano gli unici che – forti delle prerogative del loro ruolo – potevano permettersi di farsi beffe del potere, monarca compreso, senza finire sulla forca. E Crozza è stato giullare fino in fondo, quando – nel suo monologo iniziale – ha parlato della quasi mutazione genetica che ha colpito il ministro Tria nelle ultime settimane, passato dalla fase 1 del buonsenso che tentava di calmierare – a volte quasi prendendone apertamente le distanze – l’eccessiva irruenza diplomatica dell’esecutivo sul Def all’attuale fase 2, nella quale reagisce in maniera diretta e, francamente, un po’ scomposta e fuori linea nei toni, agli appunti di Bruxelles.

Qualcosa è cambiato nell’esecutivo, ma anche nei mercati: prima bastava un colpo di vento a far impennare il nostro differenziale, oggi può esplodere un’atomica al Mef e tutto resta fermo, come mucche al pascolo. Il range è quello, 290-310, qualsiasi cosa accada. Nel mezzo, l’apertura silente della Bce a una sua operatività post-Qe. Forzata e obbligata da una situazione che sta andando fuori controllo, giorno dopo giorno. Qui come dall’altra parte dell’Atlantico, sia chiaro, altrimenti non si spiegherebbe perché la Fed abbia sentito l’urgenza di intervenire per ammorbidire i requisiti di riserva delle banche medio-grandi e con forte vocazione territoriale del Paese. Quasi dalla sera alla mattina, si è sostanziata la necessità: cosa è successo? Forse una banca di Little Rock, città natale di Bill Clinton, cominciava a inviare sinistri scricchiolii attraverso alcune notes che rischiavano di andare in default a scadenza, avendo quell’istituto come core business non l’erogazione di credito e la gestione del risparmio in Arkansas, ma il finanziamento di progetti immobiliari di lusso a Miami?

Signori, voi non lo sapete, ma i bei tempi dei mutui e prestiti per tutti a tutte le condizioni, in America sono tornati. Da un po’. E fra non molto toccherà farci i conti. Sul serio, però, non con semplici interventi tampone come quello della scorsa settimana. Insomma, tra oggi e domani, lo spread potrebbe finalmente dirci qualcosa di interessante, dopo settimane di mera indicazione della febbre a 38. Scenderà o salirà, la temperatura del nostro Paese? Guariremo o servirà il ricovero?

Si aprono tempi interessanti, adesso. Ora che le elezioni di mid-term negli Stati Uniti sono dietro le spalle e che, restando nel nostro piccolo, il primo ostacolo formale alla tenuta degli equilibri di governo si è chiuso con un’assoluzione scaccia-crisi. Ma la veemenza con cui, subito dopo la sentenza, il ministro Di Maio si è lanciato contro la stampa nel suo complesso, tradisce nervi scoperti. Molto scoperti, perché una reazione simile tramuta immediatamente anche José Mourinho in un pacato esegeta della risposta diplomatica e politicamente corretta. E subito dopo un’assoluzione che suona come un dono del cielo e dopo aver, di fatto, scaricato Virginia Raggi al suo destino, facendo riferimento all’orwelliano “codice etico” del Movimento come unica tavola della legge, uno dovrebbe festeggiare, non lanciarsi in crociate contro la stampa. Ma si sa, nulla è come appare. Tantomeno di questi tempi.

La cosa davvero interessante del weekend appena concluso? La risposta del sindaco di Milano, Beppe Sala, alla proposta proprio del ministro Di Maio di chiusure domenicali per gli esercizi commerciali. Perché riuscire a tirare fuori, con le tenaglie, l’Umberto Bossi che alberga segretamente dentro un borghese moderato e pacifico come il primo cittadino milanese significa davvero che si sta passando il segno. Attenti al Nord, tanto silenzioso e laborioso, quanto capace di reazioni che non ti aspetti.