A conclusione di una settimana “concitata” sul mercato italiano si possono mettere in fila questi punti. La prima questione è quello che sta accadendo al di là delle Alpi, dove c’è stata guerriglia urbana sugli Champs–Élysées tra gilet gialli e polizia. Una crisi incredibilmente ignorata da una schiera di giornali nostrani impegnati, invece, a calcare la mano sullo spread.
Ieri Le Monde si è affrettato a mascherare la protesta francese — taciuta fino a sera anche da Repubblica.it — dando spazio a una manifestazione anti-violenza contro le donne. Si faccia un giro sugli altri quotidiani francesi per vedere che il livello di “energia” nella politica francese è massimo e che il generoso 2,8% di deficit previsto, e che verrà ampiamente sforato in caso di rallentamento, è insostenibile politicamente prima ancora che economicamente. Se arriva il rallentamento o la crisi globale tutti quei numeri andranno a farsi benedire, a meno che si decida di manganellare decine di migliaia di manifestanti francesi.
La Spagna nicchia, sapendo perfettamente che con il suo 15% di disoccupazione l’austerity non se la può permettere e che deve fare deficit prima ancora che per le ovvie ragioni economiche per ragioni politiche, soprattuto, ripetiamo, se arriva la recessione.
Immaginiamoci un’Europa nella primavera del 2019 in cui si applicano con rigidità certi parametri, in una fase di tensioni geopolitiche e rallentamento economico; l’attuale establishment verrebbe spazzato via, a meno che si voglia davvero far passare l’Italia per le forche caudine dello spread; un gioco che continuiamo a pensare sia miope e pericoloso in ottica di sopravvivenza e strategia europea. Se i gilet gialli sono un antipasto c’è di che preoccuparsi. La Francia si è “salvata” grazie alla mano libera avuta in Italia con la complicità di una classe dirigente “italiana” che ha deciso di “collaborare” e grazie all’ottenimento da parte della Germania e dei suoi alleati di un trattamento “illegale” e di favore sui conti pubblici.
L’austerity oggi rischia di venire somministrata, più o meno, con criteri politici più che economici. Per esempio il debito privato italiano è bassissimo. Noi italiani non abbiamo l’esclusiva sulle magagne europee. Ne abbiamo molte, ma non tutte.
In Italia di tutto questo non si parla e diventa molto difficile non vedere uno scontro tra un’élite europeista che ha costruito le proprie fortune vendendo, o svendendo, asset, imprese, banche e assicurazioni all’“Europa”, supportata da un europeismo ideologico che si rifiuta di riconoscere l’opportunismo dei partner europei, e un sovranismo che oscilla tra una partecipazione più consapevole e meno subordinata al progetto europeo e una richiesta di indipendenza fine a se stessa. I titoli di alcuni dei principali quotidiani italiani sul discorso di Conte venerdì in parlamento sono stati un capolavoro di disinformazione in cui si è completamente travisato il messaggio reale.
Oggi l’Italia lotta per evitare che alla vigilia di un rallentamento globale le venga imposto una politica economica restrittiva che l’ammazzerebbe definitivamente portandola al default. Tutto il mondo oggi è impegnato in politiche, intelligenti o stupide, anticicliche. I partner europei in difficoltà, Spagna e Francia in testa, si nascondono dietro il caso italiano alimentato da un governo spesso sopra le righe e da un’élite italiana che ha costruito le proprie fortune svendendo l’Italia all’Europa e che vorrebbe continuare a farlo. E la svendita finale può avvenire solo in un’Italia definitivamente piegata e fallita con la medicina infallibile dell’austerity: un debito immediatamente più insostenibile, la speculazione che nasce e muore anche in una narrazione e in uno “scontro” con le istituzioni europee che hanno le leve del potere, e il “fate presto” in cui si legittima di tutto per poi dirci che l’abbiamo voluto noi, liberamente, con il nostro parlamento.
Chi si scandalizza del reddito di cittadinanza italiano, che se fatto bene come sussidio alla disoccupazione “forte” è buono e giusto, impari il francese, perché senza politica di sussidi a pioggia — che in Italia ci sogniamo — Macron verrà seppellito da Marine Le Pen tra sei mesi. La prostrazione economica è tale che ci vuole pochissimo, come abbiamo visto in questi giorni di “gilet gialli”.
L’evoluzione dello “spread” si gioca completamente sulle trattative tra Roma e Bruxelles e sulla narrazione che queste discussioni producono. Nel breve i fondamentali dell’economia italiana non cambiano né in meglio né in peggio. I mercati agiscono nella misura in cui leggono l’evoluzione di questi rapporti. E questo non toglie nulla all’enorme problema che l’Italia ha con una burocrazia fuori controllo, tutelata da chi non può volere un suo ridimensionamento per banalissime questione di potere.
Oggi i “mercati” capiscono brutalmente due cose. Che l’Italia senza la Bce è in difficoltà e soprattutto che se la risposta alla prossima fase di rallentamento globale è un’altra austerity, il debito italiano diventerà molto meno sostenibile causa collasso dell’economia. Su questo punto la questione è chiarissima. Tra la fine del 2011 e il 2013 in Italia il debito pubblico su Pil è passato dal 116,5% al 129% producendo due conseguenze: una minore sostenibilità del debito via collasso del denominatore, una minore sovranità sostanziale e una maggiore dipendenza, forzata, dall’Unione Europea e infine un trasferimento di “valore” dall’Italia al resto dell’Unione. Un’altra ricetta a base di austerity in una prossima fase di rallentamento globale produrrebbe un altro scalino del rapporto debito pubblico su Pil e il raggiungimento di livelli così palesemente “irripagabili” da rendere l’Italia, come la Grecia, una colonia sostanziale.
Ricordiamo a questo proposito che l’Italia ha votato il pareggio di bilancio sotto la minaccia letale dello spread a 500. Questo è il modo, libero e democratico, in cui si è costruita e si costruisce ancora oggi l’integrazione europea. Lo spread può essere usato per una partita di politica interna europea; ma se può essere usato in questo modo, dosando le dichiarazioni, le richieste e le sanzioni, qualcuno ovviamente lo userà sia con i messaggi sibillini (ma neanche troppo) al mercato, “i mercati puniranno questa manovra”, che innescano la più classica delle profezie autoaverrantesi, sia gestendo le negoziazioni con minore o maggiore buona fede. Ma di questa guerra civile europea vediamo gli effetti non solo nella scassatissima Italia, li vediamo anche in Francia nonostante Macron e nonostante l’abbuffata sull’economia italiana.
La questione è così chiara che la lega di Salvini fa il pieno di voti e per questo l’unica alternativa vera sono le manganellate dello spread. Il palcoscenico di una dialettica sana e costruttiva con l’Europa che è sacrosanta oggi purtroppo vede pochi protagonisti mentre molti, in Italia, stanno a guardare sperando di raccogliere i cocci o facendo un tifo palese per un equilibrio europeo che vede vincitori e perdenti abbastanza evidenti anche all’interno dell’Italia. Che lungimiranza! E soprattutto che coraggio!