Quadro politico interno instabile e litigioso, conti pubblici alla deriva, guerra dei dazi pronta a divampare, economia tedesca in forte rallentamento: sono tanti i fronti contro cui oggi deve combattere Piazza Affari. “La Borsa italiana è in difficoltà ormai dai massimi del 17 di aprile – spiega Alessandro Magagnoli, analista tecnico e cofondatore di Financial Trend Analysis (Ftaonline) – con l’indice Ftse Mib che dopo aver toccato un massimo a 22.052 punti è tornato a flettere al di sotto di area 21.000”
Colpa anche o soprattutto dell’instabilità politica interna?
Imputare la debolezza del nostro listino a un quadro politico sempre più confuso sarebbe una leggerezza. Certo, Salvini e Di Maio hanno smesso di parlarsi, e per un governo che si basa principalmente sul rapporto di fiducia personale tra i due massimi esponenti dei partiti che guidano il Paese questo è un problema non da poco. E’ evidente che dopo il 26 maggio, data delle elezioni europee, qualche cosa dovrà accadere. La prossima Legge di bilancio sarà di fondamentale importanza per mantenere l’Italia lontana dalle burrasche dei mercati finanziari. Quello che serve e’ stabilità e concordia per poter affrontare la manovra lacrime e sangue che ci aspetta.
In effetti la situazione economica sta peggiorando, forse ben più del previsto?
Quanto sia grave la situazione lo ha sottolineato la Commissione Ue nelle sue Previsioni economiche di primavera: le stime sulla crescita del Pil dell’Italia per il 2019 e 2020 si attestano a +0,1% e +0,7% rispettivamente. Per fare un confronto, la stessa Commissione ha pronosticato una crescita economica nell’area dell’euro all’1,2% quest’anno e all’1,5% nel 2020, mentre nell’Unione europea la crescita dovrebbe essere rispettivamente dell’1,4% e dell’1,7%. E indicazioni negative sono arrivate anche per quanto riguarda deficit e debito: il rapporto deficit/Pil, che nel 2018 era sceso dal 2,4% al 2,1%, è ora atteso al 2,5% nel 2019 e al 3,5% nel 2020. Il rapporto debito/Pil è previsto in crescita dal 132,2% del 2018 al 133,7% nel 2019 e al 135,2% nel 2020. Anche in questo caso, il confronto con l’Europa è impietoso: il rapporto debito/Pil dell’area dell’euro e’ destinato, secondo la Commissione, a scendere dall’87,1% nel 2018 all’84,3% nel 2020.
Come ha reagito lo spread a queste cattive notizie?
Non a caso lo spread tra BTp e Bund è tornato rapidamente a salire, avvicinando la soglia critica dei 280 punti, oltre la quale potrebbe dirsi archiviata la fase di relativa stabilità vissuta negli ultimi mesi, e ha ripreso invece il trend rialzista che aveva caratterizzato i mesi di settembre e ottobre del 2018, quando lo spread era salito in are 350 punti base.
A turbare il sonno dei risparmiatori ci sono anche le nuove dichiarazioni “bellicose” da parte di Donald Trump nei confronti della Cina…
I mercati sono molto sensibili a questo tema, e come sempre a risentirne maggiormente rischiano di essere i vasi di coccio sparsi per il mondo, tra i quali c’è sicuramente anche l’Italia. I cinesi stanno valutando lo stato di salute dell’economia Usa per capire quanta fretta possa avere Trump di chiudere il negoziato e quanto sia incline a concessioni. La mutata politica monetaria della Fed, ora molto più accomodante che nella seconda parte del 2018, è stata scambiata come un indizio di debolezza, ma i dati usciti negli ultimi mesi sembrano aver smentito che la locomotiva Usa stia frenando, o almeno che lo stia facendo in modo rilevante. C’è chi teme a questo punto che i cinesi vogliano tirare il negoziato per le lunghe e vedere se potranno concluderlo con un presidente democratico, dopo il 2020.
Quanto è preoccupante per i mercati una simile prospettiva?
Terribilmente preoccupante, vorrebbe dire rimanere nel limbo dell’incertezza ancora per più di un anno e con dazi punitivi adottati da entrambe le parti capaci di deprimere il commercio mondiale. Già adesso gli effetti delle tensioni commerciali si vedono chiaramente, e a farne le spese è l’Europa.
Perché?
Dati del governo olandese mostrano che il volume del commercio internazionale nel trimestre da novembre 2018 a gennaio 2019 è calato dell’1,8%, il ritmo più sostenuto dalla crisi finanziaria del 2007-2008. Eurostat ha reso noto che a marzo il volume delle vendite al dettaglio nell’Eurozona è rimasto invariato rispetto al mese precedente, risultando però inferiore alla rilevazione di febbraio, e su base annuale l’indice ha registrato un incremento dell’1,9% a fronte di un +3% della rilevazione precedente. Anche il Dipartimento dell’Economia e della tecnologia tedesco ha reso noto che a marzo gli ordinativi industriali sono cresciuti dello 0,6% rispetto al mese precedente, deludendo le attese degli analisti fissate su un incremento dell’1,6%.
Anche l’andamento della Germania non gioca a favore di Piazza Affari, non è vero?
La Germania è un partner commerciale di peso per il commercio estero dell’Italia. La Commissione Ue ipotizza che l’economia tedesca quest’anno possa crescere dello 0,5%, in deciso rallentamento dal 2018, in gran parte a causa della debolezza nel settore manifatturiero e in particolare di quello automobilistico. Per adesso la Commissione si aspetta che la crescita possa recuperare all’1,5% nel 2020, in linea con la media per l’area dell’euro, ma questa stima non tiene conto del rischio che gli Usa applichino nuovi dazi, come già minacciato, sulle auto provenienti dall’Europa.
Nel mirino ci sarebbero anche prodotti alimentari tipicamente italiani, come il prosecco o i formaggi…
Lo scorso anno le esportazioni agroalimentari verso gli Usa hanno raggiunto il valore di 4,2 miliardi di euro, in crescita del 2% sull’anno precedente. Per effetto dei minacciati dazi l’Italia potrebbe perdere, secondo stime Cna, lo 0,3% del Pil, un vero e proprio disastro, considerando la crescita attesa per il 2019. E’ evidente che in questo momento l’Italia ha bisogno di una Germania forte per potersi agganciare al treno della ripresa.
Il Ftse Mib, sottoposto a tutte queste pressioni, si è appesantito. Cosa mostrano i grafici?
Sul grafico a elementi giornalieri è evidente la comparsa di una figura a “testa spalle ribassista”, disegnata a partire dal picco del 9 aprile e completata il 6 maggio con la violazione della linea che congiunge i minimi dell’11 aprile e del 26 aprile, passante ora a 21.680 punti circa. La presenza di questa tipica figura di inversione, ovvero di un elemento che compare al termine di una tendenza, è già di per sé un fatto preoccupante, al quale si aggiunge l’osservazione che i massimi di aprile a 22.053 punti siano stati toccati in coincidenza con il 61,8% di ritracciamento del ribasso dal top di maggio 2018.
Che cosa significa?
Questa percentuale di ritorno, ricavata dalla successione di Fibonacci, viene considerata lo spartiacque che separa un movimento di correzione da uno di inversione: oltre il 61,8% di ritracciamento si può iniziare a guardare con fiducia al ritorno sull’origine del movimento precedente, in questo caso i massimi dello scorso maggio; la mancata rottura di questa quota costringe invece a considerare ancora attivo il trend antecedente, destinato a riprendere con obiettivi almeno sull’origine della correzione, quindi sui minimi di fine dicembre.
Insomma, il trend sta cambiando?
Che qualche cosa sia cambiato nella struttura del trend così come lo abbiamo visto negli ultimi quattro mesi lo conferma anche la violazione, avvenuta l’8 maggio in area 21.250, della media mobile esponenziale a 50 giorni, indicatore che viene utilizzato per ricavare una valutazione sintetica del trend di medio periodo: fino a che le quotazioni stazionano al di sopra della media, come era accaduto a partire dal 9 gennaio, la tendenza può essere considerata rialzista; viceversa, quando le quotazioni scendono al di sotto della media, la tendenza vira al ribasso.
Che cosa è successo tra gennaio e aprile?
In base agli indicatori proprietari sviluppati e utilizzati da Financial Trend Analysis, il trend è stato al rialzo dal 4 gennaio al 30 aprile, per un totale di 79 sedute, il periodo più esteso per una fase crescente – così come valutata da questo metodo – dopo quello terminato il 24 novembre 2016, quando la durata dell’uptrend era stata di 88 giornate. Lo studio della storia mostra che un’inversione di trend duratura si manifesta di norma quando questo indicatore riesce a mantenere la propria posizione per almeno 7 sedute.
Quindi?
Ciò significa che solo se il ribasso proseguirà senza grosse scosse almeno fino al 15 maggio i recenti segnali di debolezza potranno trasformarsi in un periodo prolungato di ribasso. In base a questo metodo di valutazione la durata media della fasi di tendenza è di 25 sedute: se il Ftse Mib continuerà quindi a essere debole almeno fino al 15 maggio il rischio che successivamente possano manifestarsi almeno altre quattro settimane di negatività sarà elevato. Ovviamente ciò non significa che nell’ambito di questo periodo non potranno verificarsi rimbalzi, ma che difficilmente questi riusciranno a superare il 2,5% di estensione.
Che cosa dovrebbe succedere per potyer intercettare qualche segnale positivo?
Solo la rottura del 61,8% di ritracciamento del ribasso dai massimi di maggio 2018, quindi il superamento dei 22.050 punti, da confermare in chiusura di seduta, fornirebbe argomenti credibili ai rialzisti, prospettando in quel caso movimenti fino in area 23.150 almeno.
(Marco Biscella)