Ieri Theresa May ha deciso di rinviare il voto sull’approvazione dell’accordo che aveva raggiungo con l’Unione europea per “regolare” l’uscita della Gran Bretagna. La novità è stata bollata come “clamorosa”, ma la realtà per chi avesse seguito anche solo distrattamente il dibattito del Parlamento inglese era che fosse chiaro da giorni che l’accordo sarebbe stato bocciato; chi mastica un po’ di inglese si ascolti le “dichiarazioni di voto” dei giorni scorsi e il loro tono. Questo accordo non aveva alcuna possibilità di riuscita. Zero al cubo.



Il dibattito si era focalizzato sia sui timori per “l’unione” (quella della Gran Bretagna) per le conseguenze sull’Irlanda del nord dell’accordo, sia per le preoccupazioni di ritrovarsi “governati” da un organo, l’Unione europea, su cui non si avrebbe avuto alcun controllo. Ripensiamo al dibattito sul referendum scozzese, tra i trogloditi che volevano uscire e gli “illuminati”, alla luce di una possibile Brexit. Facciamoci venire il dubbio che qualcuno si sia portato avanti rispetto al dibattito attuale disinnescando per tempo un possibile fronte di debolezza interna. E oggi salviamo gli articoli di commento su una “Gran Bretagna in preda a un caos senza fine”, mentre in Francia si schierano 90 mila poliziotti. Facciamoci venire il dubbio che possa essere tutto l’opposto.



Oggi “l’opinione pubblica” si ritrova spiazzata dall’evoluzione degli eventi. È inevitabile dopo due anni in cui siamo stati bombardati da una propaganda slegata dalla realtà e che appartiene di diritto al filone delle “fake news”. È due anni che ci raccontiamo di quanto gli inglesi stiano già soffrendo per la decisione presa e di come sia chiaro che abbiano preso una decisione sbagliata e che quindi, sicuramente, in un modo o nell’altro torneranno sui loro passi. E ci raccontiamo di quanto siamo fortunati e stiamo bene noi dentro l’Unione. Infatti, non ci capacitiamo di come possano anche solo pensare di abbandonare un progetto, l’Unione europea, che, con tutti i suoi difetti, è l’unico orizzonte possibile. Questo processo di autoconvincimento si è dimenticato della realtà.

La prima realtà è che il processo di costruzione dell’Unione che è passato in molte occasioni nonostante gli esiti dei referendum nazionali, fuori dall’unione è molto meno popolare e soprattutto le cose continuano ancora a essere chiamate con il loro nome. Se chiedo un’opinione alla gente, la tengo occupata per un anno in una consultazione con un’alta partecipazione, poi non posso far finta che non ci sia stata in nome di una “democrazia superiore” che nei fatti non esiste. Infatti, oggi qualcuno ci dice: chi ha votato per la Brexit in realtà non aveva capito fino in fondo le conseguenze e quindi la sua opinione è vincolante fino a un certo punto e quindi possiamo “democraticamente” ignorarla. Questo modo di pensare che nell’Europa continentale è considerato pacifico al di fuori risulta folle. Infatti, l’assunto non detto di questa tesi è che “noi” che abbiamo votato per rimanere siamo “quelli intelligenti” in grado di valutare tutti i pro e i contro e di prendere la decisione più responsabile.

Chi l’ha detto? È una distinzione palesemente arbitraria e in conflitto di interesse che per esempio ignora i nomi illustri tra i sostenitori del “leave” tra cui imprenditori, banchieri, e regine. Il leave è stato palesemente voluto e votato anche da un pezzo dell’establishment più “elitario”. Altro che panzoni bevi birra… l’ipotesi di un secondo referendum, popolare a queste latitudini, in realtà è sempre stata complicatissima.

La seconda realtà è che l’Unione europea è un progetto incompiuto, costruito senza un vero passaggio democratico, con enormi difetti sia nell’assetto politico che economico. Anche i più accesi europeisti riconoscono e mettono nei libri che senza modifiche sostanziali e nette l’Unione è un progetto precario. Ripetiamo: su questa questione la divisione non è tra sovranisti ed europeisti. I difetti strutturali dell’unione sono un dato di fatto. È quindi possibile che mettendosi fuori dall’Unione si voglia iniziare in anticipo un progetto concorrente e magari accelerare un processo di “implosione” aggiungendo una forza centrifuga. I pro? Chi vince passa a raccogliere i cocci.

Oggi il dibattito sulla Brexit si evolve in modo molto preoccupante. Più passa il tempo, più aumentano i rischi, oggi altissimi, di una hard Brexit, di un’uscita della Gran Bretagna senza accordo. Lo scorrere del tempo porta a una situazione in cui, in Gran Bretagna, si potrà dipingere uno scenario in cui ci sono solo due alternative: un pessimo accordo che relega l’Inghilterra a Stato di serie B e magari mette a repentaglio l’Unione e nessun accordo. E l’uscita senza accordo è una iniezione di volatilità e disordine in tutta l’Europa con pochissimi precedenti.

La questione secondo noi si pone in questi termini: il non accordo ha conseguenze economiche nefaste sia in Gran Bretagna che nell’Unione europea, ma la capacità “politica” dei due sistemi di reggere questa onda d’urto non è uguale. L’Unione europea è molto più fragile, soprattutto se consideriamo che, nel frattempo, è scossa dalla “ribellione italiana” di un Governo che almeno in una sua componente non sembra estraneo a Londra, dai disordini dei gilet gialli incitati da Trump e ammirati da Grillo (nessuna coincidenza ovviamente), da una Germania assediata dalle tariffe e da Deutsche Bank e spinta, anche per storia, alla “resistenza” magari solitaria e infine da un rallentamento economico scatenato dalle tensioni sull’asse Stati Uniti-Cina. In questo scenario ci chiediamo chi abbia più da perdere, chi sia nelle migliori condizioni per resistere a questo shock, chi si trovi nelle condizioni di dover “arrendersi” sul tavolo delle trattative. Ci chiediamo se per caso sia il caso di farsi passare alla svelta un senso di “superiorità” che non trova molti riscontri nei fatti al di là degli autoconvincimenti e delle dichiarazioni quasi “sprezzanti” che si sono sentite nel continente e a Bruxelles.

L’impressione è che l’unico accordo che la Gran Bretagna sia disposta a firmare è un accordo in cui prende tutto. La seconda impressione è che la Gran Bretagna sia stata molto più lucida dell’Unione europea. Speriamo che il tempo non sia scaduto e speriamo che a Bruxelles finiscano politici “migliori” di quelli che abbiamo visto finora.