Brexit, ieri il Parlamento inglese ha bocciato con una maggioranza risicatissima l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea senza accordo, il “no deal”; questo a meno di tre settimane dal termine ultimo per le negoziazioni fissato per il 29 marzo. Intanto sui “mercati” regna la calma con la sterlina in recupero; il minimo che possiamo dire è che nessuno sconta un’uscita senza accordo. Il prossimo passaggio di questa saga che ci perseguita da tre anni dovrebbe essere un voto del Parlamento inglese in cui si chiede all’Unione Europea di estendere il termine del 29 marzo per provare ancora a trovare un’intesa; nessuno vuole prendersi la responsabilità della scelta di un’uscita senza accordo. A questo punto però è chiaro che le opzioni cominciano a esaurirsi e la situazione si fa intricata.
Il capo negoziatore dell’Unione Europea, Michel Barnier, ieri si chiedeva per quale motivo l’Ue dovrebbe estendere i negoziati; ci avvisava anche che “il rischio di un’uscita senza accordo non è mai stato così alto”. Soprattutto segnalava il rischio di un’uscita per “un incidente”. Ogni dichiarazione, ovviamente, deve essere interpretata alla luce del negoziato in corso e ieri se ne sono sentite tante. Angela Merkel ribadiva che l’obiettivo europeo è “un’uscita ordinata” e poi avvertiva che il voto di martedì rende questa opzione più difficile. Altre fonti sostenevano che Angela Merkel ritenga che concedere un’estensione fino alla fine di giugno, con un nuovo Parlamento europeo, sarebbe facile. Siccome è una decisione politica potrebbe essere opportuno non lasciarla a un Parlamento e a una Commissione in scadenza e probabilmente non così rappresentativi della realtà politica europea. Per il leader del partito liberale europeo, Guy Verhofstadt, concedere un’estensione, “anche solo di 24 ore”, invece, sarebbe un errore.
Torniamo ai possibili scenari. A meno di concessioni significative da una delle due parti non si comprende, allo stato attuale, quale possa essere un punto comune tra Unione Europea e Regno Unito. Dopo tre anni è lecito pensare che forse questo punto comune non esista; a meno che appunto una delle due parti non alzi bandiera bianca. È sempre possibile che ci sia un’altra estensione. Un tempo in cui in Gran Bretagna si potrebbero fare nuove elezioni, con un Parlamento diverso per nuovi negoziati, o un secondo referendum. Tutto molto facile in teoria, ma meno nella pratica. Per esempio, non è chiaro quale potrebbe essere il quesito del secondo referendum: una mera riproposizione del primo? Un’alternativa tra l’ultimo accordo e un no deal? Politicamente sarebbe comunque impegnativo rimangiarsi l’esito del primo.
È possibile che ci sia un’altra estensione; è possibile che il Regno Unito si imbarchi in un’altra campagna elettorale estenuante dall’esito comunque imponderabile nonostante l’ennesima elezione dipinta come un rigore a porta vuota. È possibile che l’Unione Europea si irrigidisca e chieda che venga rispettato il termine del 29 marzo. Noi vorremmo ritornare alle parole di Barnier, in particolare al rischio di un’uscita senza accordo per un “incidente”. Lentamente si rischia di infilarsi nel vicolo cieco del 29 marzo con, magari, entrambe le parti convinte che alla fine qualcuno ceda.
Nessuno vuole un’uscita disordinata, ma intanto i margini si assottigliano, le opzioni si esauriscono e il rischio è che tutto, all’ultimo secondo, si riduca in una scelta tra un accordo ritenuto cattivo e un non accordo con, sullo sfondo, un voto “certificato” per l’uscita. Nel frattempo nelle ultime settimane si allunga la lista dei provvedimenti, dalle banche ai dazi, per evitare gli effetti più nefasti di un’uscita senza accordo; forse è tutta materia “negoziale”, ma intanto qualcuno mette qualche pezza dove può.
Scegliamo di prendere al loro valore “facciale” le parole di Barnier in particolare alla voce “incidente”. Nel caos attuale dopo tre anni dal referendum è uno scenario con forse cui non si può più non fare i conti.